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 GIUSTIZIA E' SFATTA, di Bruno Vespa Data: 20/01/2009
Appertiene alla sezione: [ Opinione ]
A proposito di certezza della pena, ho scoperto l’altra sera un dettaglio forse scontato, ma che fa una certa impressione. Le progressive riduzioni di pena per buona condotta (o meglio, per l’assenza di una cattiva condotta) non tengono conto del numero dei delitti compiuti. Siano uno o cento, fa lo stesso. Marco Furlan e Wolfang Abel, membri della banda Ludwig, hanno rivendicato 15 omicidi commessi tra il 1977 e l’84. Sono stati condannati a 27 anni per dieci delitti. Furlan ne ha scontati complessivamente soltanto 18, dopo una fuga e una latitanza di quattro anni. Dal 3 gennaio scorso è completamente libero, dopo un anno di affidamento ai servizi sociali. Tra poco tornerà libero anche il suo complice.
Marino Occhipinti è uno della banda della Uno bianca: 24 omicidi e un centinaio tra rapine e delitti minori. Dopo 12 anni di carcere (è stato condannato all’ergastolo come i fratelli Savi), il giudice di sorveglianza di Padova insiste perché i familiari delle vittime lo incontrino per constatare che è un uomo diverso dall’assassino dei primi anni Novanta. Il primo passo verso l’uscita. Anche lui ha maturato i tre mesi di sconto all’anno per buona condotta, la metà pena è vicina, potrebbe uscire in permesso tra poco. Ma i parenti delle vittime s’indignano al solo pensiero.
Guardando le schede di alcuni detenuti, ho potuto verificare che gli autori di omicidi condannati a 30 anni dopo dieci di carcere cominciano ad avere i permessi e dopo 18 sono liberi. È vero che la legge Gozzini e gli altri istituti premiali interpretano il diritto costituzionale al riscatto e hanno evitato le rivolte carcerarie dovute al sovraffollamento. Ma credo che il pendolo del garantismo stia scivolando pericolosamente a favore dei condannati e in danno delle vittime.
La riforma della giustizia che comincia in questi giorni il suo percorso in Consiglio dei ministri purtroppo non si occuperà di questi aspetti. Il governo comincerà a esaminare i temi per cui non è necessario toccare la Costituzione. Verrà ripristinata l’autonomia d’indagine della polizia in termini simili a quelli precedenti la riforma del Codice di procedura penale dell’89. Nella sostanza, e salvo sorprese, il pubblico ministero non dovrebbe più andarsi a cercare la notizia di reato (cosa che si è prestata ad abusi) ma dovrà aspettare un rapporto degli investigatori. L’altra riforma che non toccherebbe la Costituzione è la modifica per l’elezione dei membri del Consiglio superiore della magistratura. Essa consentirebbe di ridurre il peso delle correnti, oggi dominatrici nell’assegnazione degli incarichi degli uffici giudiziari più importanti.
Ma il cuore della riforma sta nella modifica della Costituzione: di questo si è parlato negli ultimi giorni, anche con gli interventi di Nicola Mancino e di Gianfranco Fini, però il governo non se ne occuperà subito. I punti centrali sono l’affidamento alle Camere con voto qualificato delle priorità nelle indagini, per ridurre il potere discrezionale dei procuratori, che aggira di fatto l’obbligatorietà dell’azione penale. E una riforma profonda del Csm in cui i magistrati non rappresentino più i due terzi del plenum.
C’è poi il tema della separazione delle carriere (o di una distinzione irrobustita) e della sezione disciplinare che alcuni vorrebbero distinta dallo stesso Consiglio.
Su alcuni punti si può trovare l’accordo anche con l’opposizione, su altri non c’è nella stessa maggioranza.
Ma, anche se duole dirlo, il ministro Angelino Alfano dovrà impegnarsi molto per la costruzione di nuove carceri per rivedere una strategia premiale ormai molto dolorosa per le vittime.

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