Non odio i nemici ma penso che sia vile fingere che non esistano e non combatterli. Amo i bambini, perfino quel miliardo di bambini che stava per nascere e non fu accolto in società negli ultimi 30 anni, ma penso che sia vile esibire i loro cadaveri come trofei di buona coscienza. Quella di Gaza non è la guerra sporca dei bambini morti ammazzati, il disastro umanitario di un Israele spietato, Gaza non è Grozny, la capitale della rivolta cecena, quella non è una guerra coloniale in ritardo di mezzo secolo, non è nemmeno la battaglia di Algeri fra una vecchia potenza d’oltremare e un movimento nazionale di liberazione, Gaza non è un campo di concentramento (come dice il cardinale), Gaza è la fortezza terrorista di cui si è impadronita Hamas.
Hamas, come Hezbollah e come il potere mandatario prenucleare di Teheran, è votato allo sterminio degli ebrei. I capi di Hamas, di Hezbollah e di Teheran negano Israele, negano gli ebrei, negano perfino gli ebrei morti nei campi di concentramento, quelli veri. È su questa base che hanno impostato non solo il loro statuto, la loro dichiarazione di principi, ma tutta la loro vita associata, non soltanto quella del braccio militare incaricato di lanciare razzi sulla popolazione civile innocente del sud di Israele. È questo odio assassino che insegnano nelle loro scuole, è questa la loro scuola quadri, questa la loro propaganda, queste le idee di martirio, di testimonianza per la morte, alle quali cercano di legare il loro popolo fin dall’infanzia.
Ma gli ebrei che Hamas vuole liquidare non sono soltanto gli ebrei, il popolo dell’Antico Testamento. Gli ebrei che il nemico vuole uccidere siamo noi stessi, la nostra radice, l’Occidente mescolato con le più diverse etnie, la democrazia, le libertà civili, l’emancipazione delle ragazze e delle donne, la fede che storicamente l’Islam vuole sottomettere e anche il rischio della secolarizzazione, della libertà religiosa, insomma della miscredenza non tollerata dal Corano.
Invece di prendere atto tragicamente di questa realtà profonda, di pesarla nella sua drammatica eco religiosa, di misurarla per quel che è oltre ogni edulcorazione, e di legare a essa il giudizio sulle cose che effettivamente accadono, comprese le guerre per espugnare la fortezza terrorista e piegare chi la usa come rampa di lancio contro la popolazione ebraica; invece di affannarsi intorno alla nuova verità del Medio Oriente combattente, molti politici e intellettuali italiani preferiscono lavarsene le mani e usare vecchie categorie politiche della storia del movimento anticoloniale. Per colpire Israele come simbolo di potenza, di ricchezza, di tecnologia, di arroganza imperialista ci si risolve a cancellare Hamas, a snaturarlo, a descriverlo come un gruppo militante per l’indipendenza nazionale, come una filiera di resistenti all’oppressione e all’occupazione. E magari le cose stessero davvero così, prima o poi questa guerra infinita imboccherebbe la strada di un negoziato razionale e registrerebbe i mutamenti occorsi in tutto il mondo, dove se non sbaglio la colonizzazione è finita da un pezzo.
Ma non è così. Hamas, Hezbollah e Teheran sono la grande e tragica novità della fine del Novecento, sono l’emergenza di una nuova frattura a sfondo religioso, una frattura tra mondi incomponibili alla frontiera dei quali sta il piccolo stato degli ebrei, una frattura che l’11 settembre avrebbe dovuto rendere evidente per tutti. l