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 OBAMA E LE SETTE RAGIONI PER UN SANO SCETTICISMO Data: 24/01/2009
Appertiene alla sezione: [ Politica Estera ]
di Jim Vandehei e John F. Harris


Persino in una città di cinici, il giorno dell’inaugurazione di un nuovo presidente – e l’infuso di idee nuove, nuove personalità ed energia nuova che ne deriva – genera dei sentimenti di reverenza.

In modo particolare, Barack Obama è l’oggetto di queste belle sensazioni inaugurali. Ha messo su una Casa Bianca e un Gabinetto impressionanti. Tutto il Paese è chiaramente dalla sua parte. Con un’economia che è rimasta senza fiato, e due guerre trascinate con svogliatezza, persino molti repubblicani che normalmente avrebbero goduto nel vedere Obama fallire, adesso fanno il tifo per lui. Le scommesse sono semplicemente troppo grandi.

In mezzo a tutte queste nobili speranze, far notare perché le aspettative debbano essere tenute sotto controllo può sembrare inutilmente scortese. Ma è anche realistico.

Ecco qui sette ragioni per essere scettici sulle possibilità di Obama e sull’establishment di Washington che ora il presidente si trova a guidare.

1. L’errore del genio
Non c’è ombra di dubbio che Obama ha creato un Gabinetto di funzionari intelligenti e con esperienza. Il suo staff viene spesso elogiato per la sua brillantezza – anche dagli stessi repubblicani – in particolare nell’ambito della sicurezza nazionale e dell’economia. Ma la storia recente ci insegna a essere cauti sui personaggi mitizzati di Washington che in teoria marciano sul palcoscenico della Storia. Basta considerare l’economia.

Larry Summers e Timothy Geithner sono intelligenti, di gran lunga qualificati per gestire e salvare l’economia. Tutti dicevano esattamente le stesse cose sui due geni dell’economia degli anni ‘90: Robert Rubin e Alan Greenspan. Ora hanno ridotto Rubin a dover trovare scuse per il suo coinvolgimento negli investimenti ad alto rischio e per aver supervisionato la fine di Citigroup, la società che solo negli ultimi tre mesi ha perso 10 miliardi di dollari. Greenspan, che un tempo era considerato un oracolo, di fronte al Congresso ha riconosciuto che la sua filosofia economica, venerata fino a poco tempo fa, aveva “un difetto” e ora molti lo incolpano di aver chiuso un occhio sulla questione della bolla immobiliare.

Casualmente, il team economico di Obama è pieno di protetti di Rubin, tra cui Geithner e Summers. Il primo di recente ha dovuto ammettere di non aver pagato le tasse di una bella quantità di entrate finanziarie, una confessione che fa parte di quel processo che è stato necessario a confermarlo alla guida della politica fiscale e dell’Internal Revenue Service. Come presidente della Fed di New York, è stato coinvolto fino al collo nella decisione di non salvare la Lehman Bros.; una scelta che, vista retrospettivamente, molti considerano un grave errore.

L’accoglienza della squadra economica di Obama ricorda l’accoglienza del team di politica estera del presidente George W. Bush otto anni fa. Molti democratici allora elogiarono l’esperienza del vicepresidente Dick Cheney, del segretario alla difesa Donald Rumsfeld e del segretario di Stato Colin Powell.

Quando nel 2000 Bush nominò la sua squadra di sicurezza nazionale, il New York Times scrisse un editoriale dal titolo: “Mettere in campo dei giocatori superstar non sempre garantisce armonia o successo”. Guardandosi indietro, è certo che si trattava di una sottovalutazione.

2. L’istinto del branco
A Washington, la tradizione più bipartisan è quella di lodare l’imparzialità, persino mentre ci si lamenta che non ce n’è abbastanza. Ma l’istinto dell’imparzialità si lascia sfuggire un fatto abbastanza sconveniente: alcuni dei più grandi errori commessi accadono proprio quando il governo si accinge a fare grandi cose con ampio sostegno. Non a caso Bush, nell’ottobre del 2002, riuscì a far passare la tanto rimpiante Risoluzione sulla Guerra in Iraq con il forte sostegno dei democratici.

L’attuale crisi economica produce la stessa pressione di salire sul treno, non importa dove stia andando. E’ semplice simpatizzare con questa tentazione. I dirigenti della squadra di Obama ci hanno recentemente detto che le cose stanno molto peggio di quanto la maggior parte della gente può davvero capire. Lo staff di Obama e i migliori legislatori stanno ricevendo forti segnali che il sistema bancario in particolare è estremamente fragile e potrebbe collassare. Dunque si stanno muovendo con una velocità impressionante per immettere denaro nell’economia.

In un primo momento c’è stato il pacchetto per stimolare l’economia, che potrebbe raggiungere i 900 miliardi di dollari. E’ una cifra da capogiro raramente contemplata nella storia americana, e forse potrebbe anche non servire. Non esiste nessuna garanzia che la gente spenda il denaro distribuito dal governo o che sarà sufficiente per compensare la miserabile performance economica di altri Paesi. La storia non ci sta dando conforto.

Torniamo indietro di alcuni mesi. Tanto i repubblicani quanto i democratici dissero che la migliore tra tante cattive opzioni era quella di approvare un piano di 700 miliardi di dollari per salvare le banche, principalmente per scongelare il blocco del credito e spremere l’economia. La metà dei soldi sono già volati via. Molte delle banche hanno preso i soldi e si sono seduti sugli allori. Alcune l’hanno usato per aumentare i prestiti. Ma la maggior parte è stata sprecata o non c’è una vera spiegazione. Ora Washington vuole spendere quello che ne rimane. E un assistente di Capitol Hill ha detto a David Rogers di “Politico” che i democratici probabilmente avranno bisogno di chiederne persino di più.

3. Siamo al verde
Gli ultimi mesi hanno prodotto una strana convergenza. Spendere denaro – qualcosa che i politici di entrambi i partiti trovano piacevole – adesso coincide con quello che gli economisti e gli esperti di politica di tutti i colori ideologici dicevano che era urgentemente necessario. Così come ripeteva sempre la Church Lady, un personaggio del programma televisivo Saturday Night Live, “Wow, quant’è opportuno!”.

Fra un mese è molto probabile che i democratici avranno approvato l’imponente progetto di legge per stimolare l’economia e Obama l’avrà firmato per farlo diventare legge. Per allora, il nuovo dipartimento del Tesoro avrà già speso i restanti 350 miliardi dei 700 miliardi del fondo per liberare le banche.

Dopo tutta questa attività, la capacità di spesa durante il bilancio del primo mandato di Obama – e non importa se ce ne sarà un’altro – sarà bruscamente ridotta.

Invece, la nuova amministrazione e i legislatori di Capitol Hill si ritroveranno a fare i conti con un’altra ‘prima volta’: la prospettiva di un deficit nazionale di circa 2.000 miliardi di dollari. Per la maggior parte di loro, queste cifre sono semplicemente troppo grandi da poterle anche solo tenere in conto. Ma calcolate questo: il nostro paese non ha mai dovuto fare i conti con un simile deficit.

Aspettate, ora viene il peggio. Ricordate quelle garanzie di diritto di cui anziani e poveri hanno bisogno più che mai, i sistemi di previdenza sociale e di assistenza medica? In termini di budget, hanno più problemi che mai. Secondo un recente studio, “i surplus della previdenza sociale inizieranno a diminuire nel 2011 e si trasformeranno velocemente in crescenti deficit, proprio quando la generazione del baby boom sarà andata in pensione”. E il report continua assicurando che “la situazione finanziaria del sistema di assistenza medica è molto peggiore”. In altre parole, il governo ha bisogno di più soldi che mai proprio quando la gente sta perdendo il proprio posto di lavoro, le entrate economiche e la fiducia.

4. Parole, parole, parole
Tanto Bill Clinton che George W. Bush, anche se sono due persone molto diverse, hanno concepito il ruolo presidenziale principalmente come un lavoro in cui si prendono decisioni. Molto spesso Clinton respingeva quelle bozze di discorso strabocchevoli di linguaggio altezzoso dicendo: “Parole, parole, parole”.

Obama sembra avere un’idea diversa del ruolo presidenziale. Lui pensa che le decisioni giuste si ottengono mettendo insieme gente ragionevole e illuminata per poi raggiungere il consenso. Lui pensa anche che il suo compito come presidente è quello di educare e ispirare, per lo più si tratterebbe di una questione di stile. Lui sa di essere bravo con le parole. Sa anche di avere un grande stile. Ed è per questo che proietta una fiducia eccezionale nella sua capacità di svolgere il suo incarico. Non sappiamo ancora quanto sia giustificata questa sua fiducia in se stesso, o quanto possa essere ingenuo.

Ma Obama è quasi certo di dover affrontare molti esami, alcuni probabilmente imminenti, nelle quali la prova sarà la sua capacità di agire velocemente e con accortezza, e non solo descrivendo le sue azioni senza intoppi o impressionando la gente con la sua nuance. E al contrario di quello che fa normalmente un governatore – a cui tocca decidere che cosa rientra nel budget e che cosa deve essere tagliato, o se una persona che deve essere giustiziata a mezzanotte dovrebbe essere risparmiata – Obama non ha mai dovuto prendere molte di quelle decisioni le cui conseguenze riguardano non solo se stesso.

5. Lui raramente sfida la squadra che gioca in casa
Obama parla di frequente della necessità di andare oltre l’imparzialità. E ricorda il suo sostegno alle scuole paritarie – una idea che poi non è così terribile e controversa – come evidenza del fatto che vuole sfidare i gruppi d’interesse dei democratici. Di fatto, però, ci sono davvero pochi esempi che hanno a che fare con una scelta in cui Obama, durante la campagna elettorale o la transizione, abbia leso l’elettorato del suo partito, o usato la retorica con cui sfidò i suoi sostenitori a ripensare alcune supposizioni, o abbia dovuto cedere su una causa che gli sta particolarmente a cuore.

Ma Obama ha mai fatto un discorso alla “Sister Souljah”? (un discorso in cui un politico si dissocia da tradizionali e talvolta impopolari gruppi di interesse associati al partito nonostante ci sia il rischio di essere lasciato da parte, ndr). Ha mai difeso i sindacati nel modo in cui fece Clinton quando approvò il Nafta? Questo non è sicuramente un buon segno. Per come la pensa Obama, l’interesse nazionale normalmente coincide con il suo interesse personale. Ti ripasso la parola, Church Lady.

6.Tutti ce la stanno facendo solo per un pelo
Non importa quanta fiducia proiettino sia Obama quanto gli altri politici, la verità è che l’attuale crisi economica ha scombussolato le supposizioni intellettuali di praticamente ciascun legislatore. Quella gente che si lamentava dei deficit, ora vuole spendere soldi come dei matti. L’improvvisazione è l’unica vera risposta. Ma le probabilità che l’improvvisazione porti il Paese esattamente sulla strada giusta – senza alcune difficili curve sbagliate durante il cammino – sono davvero minime.

7. I cani da guardia stanno facendo un pisolino
Le grandi aziende di comunicazione che un tempo investivano nel giornalismo serio di responsabilità sono diventati l’ombra di se stessi. Il Tribune – o in altre parole, il Los Angeles Times e il Chicago Tribune – ha soppresso oltre la metà del suo personale con sede a Washington. Allo stesso modo, anche le catene di quotidiani come la Cox stanno fuggendo da Washington.

Il risultato finale: in questo Paese ci sono pochi giornalisti che fanno un lavoro di investigazione tale da mettere alle strette i funzionari di Governo. Ripensate ai reportage di otto anni prima della guerra in Iraq e considerate le parole di Scott McClellan nel suo noioso libro.

McClellan scrive che “il collasso delle fondamenta logiche del Governo sulla questione della guerra, che divenne palese mesi dopo la nostra invasione, non avrebbe mai dovuto essere diventato un fatto così sorprendente” . “In questo caso, i ‘media liberali’ non sono stati all’altezza della loro reputazione. Se lo fossero stati il Paese sarebbe stato servito meglio”.

Dare conto in maniera rigorosa è ancora più importante quando a Washington si consolida la regola del partito unico. I democratici, come i repubblicani, semplicemente sono meno propensi a controllare un loro presidente. Il risultato finale è questo: non vi aspettate che sia il Congresso democratico a controllare l’amministrazione di Obama o che sia disposto a superare un sacco di pesanti sedute di controllo. Tutto questo significa che l’unico vero controllo che potremo fare su Obama è quello che è sempre esistito, cioè quello degli elettori.

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