di Peppino Caldarola, ex deputato DS ed ex direttore del L'Unità
Apparentemente è tempo di bonaccia nel Pd. Venti calmi, mare fermo, per qualche giorno la guerriglia interna ha deposto le armi, le ambizioni dei critici di Veltroni sono sembrate sopite, lo stesso gruppo attorno al segretario ha tirato in sospiro di sollievo. Tuttavia, anche quando non infuria la guerra di correnti, nel Pd una calma vera non c’è. Il Pd è cosa troppo importante per il sistema politico per accontentarsi della narrazione che ne fanno i suoi capi. Sia quando parlano di scontri sia quando parlano di pace. Bisogna andare nel profondo per capire che cosa sta accadendo nella sinistra italiana. E nella sinistra italiana la pace è obiettivo lontano. Il nuovo partito non ce la fa ad affermarsi e ad avere una linea che tenga assieme le sue diverse anime. Badiamo al sodo con un repertorio dei conflitti interni oggettivamente raccontati. Negli ultimi giorni numerosi banchi di prova hanno messo in discussione il patto di convivenza fra le diverse anime del Pd. Pensiamo al testamento biologico. È giusto e normale che non sia una regola di partito a stabilire quando inizia e quando finisce la vita umana, tuttavia il caso di Eluana ha rimesso in discussione l’accordo di convivenza fra l’anima cattolico-integralista rappresentata dai teo-dem e l’anima radicale e scientista incarnata dal professore Marino, trapiantista di fama internazionale e consulente di primo piano della Fondazione «Italianieuropei». I temi etici dividono il nuovo partito e questo si dava per scontato fin dapprincipio. Fra i temi etici vi sono quelli che riguardano i cosiddetti diritti civili, dove è esplicito il conflitto fra la comunità gay rappresentata nel Pd e il cattolicesimo ortodosso guidato da Paola Binetti. Non diversa è la contrapposizione che si verifica su temi immediatamente politici. Pensiamo a questioni recenti. Il Pd di Veltroni sceglie la strada dell’astensione al Senato sul federalismo fortemente voluto dalla Lega. È il prezzo pagato agli amministratori del Nord, Chiamparino, Cacciari e Penati, ma c’è anche la suggestione di aprire un varco nel rapporto fra Lega e centrodestra. Il voto di astensione è stato rispettato da tutti i parlamentari, ma forte è stato il mugugno dell’area dalemiana e di altre componenti del Pd. Forse alla Camera non sarà così facile assicurare il mantenimento della posizione. Divisione più tradizionale si registra sulla legge elettorale per il Parlamento europeo. Il cosiddetto CaW, cioè la convergenza di Veltroni e Berlusconi, spingerebbe ad un accordo elettorale sulla scia di un progetto sostanzialmente bipartitico. Un bipartitismo molto imperfetto perché prevede l’esistenza di partiti con un consenso elettorale superiore al 4-5 per cento. È stato calcolato che questo bipartitismo si trasformerebbe in un blocco composto da cinque partiti, oltre i due maggiori, la Lega, Di Pietro e L’Udc di Casini. Un accordo siffatto comporterebbe il mantenimento anche per le europee di due liste elettorali bloccate senza preferenze. È qui che nel Pd si realizza lo scontro interno. C’è un’area, che fa perno sui dalemiani, che non condivide una legge elettorale che punisca la sinistra radicale né accetta le liste scritte dalle segreterie di partito. Fai appena in tempo a registrare un dissenso che ne trovi un altro di maggiori dimensioni. I sindacati, tranne la Cgil, hanno raggiunto un accordo con il governo sui contratti. Una nuova ferita all’unità sindacale, un nuovo problema per un Pd che è Cgil-dipendente ma ha molti sostenitori nella Uil e nella Cisl. Qui le decisioni vanno persino al cuore del fronte dalemiano dove il leader tifa per Epifani mentre Enrico Letta lo critica. Il fronte sindacale è quello che silenziosamente rivela le più profonde contraddizioni di principio perché vi è un’area del Pd di provenienza diessina che non vuole rompere con la Cgil, mentre un’altra area pensa che sia arrivato il momento di rompere il cordone ombelicale con il sindacato di Epifani. Nell’elenco dei dossier scabrosi nel Pd non si può tacere il tema della riforma della giustizia. Il recente convegno delle fondazioni di D’Alema e di Casini ha lasciato strascichi profondi nel Pd con vere e proprie guerre fra le diverse anime del Partito per una iniziativa che ha avuto un grande successo ma ha rivelato l’inconsistenza del team di Veltroni e soprattutto del ministero ombra della Giustizia. Infine nella politica estera si sono confrontate la linea seria e occidentale di Fassino con l’orientamento filo-arabo di D’Alema. Questo è in sintesi il repertorio dei punti di sofferenza del nuovo Pd anche quando non è in discussione la leadership. Sotto le ceneri il fuoco continua a bruciare.