Roberto Maroni ci ha messo la faccia. L’arrivo di immigrati irregolari a Lampedusa non cesserà mai senza un accordo serio con la Libia sul controllo degli imbarchi e con i paesi di origine dei clandestini per il rimpatrio. Finora l’unico paese che riprende i propri migranti è l’Egitto. Qualcosa si sta muovendo con la Nigeria. Ma l’emergenza attuale è la Tunisia, presente a Lampedusa con 1.200 persone. Per questo la visita del ministro a Tunisi di martedì 27 gennaio si è trasformata in una trattativa complessa durata un giorno e mezzo. I rapporti con la Tunisia sono ottimi. Il presidente Ben Alì è amico personale di Silvio Berlusconi e non fa mai mancare sulla sua tavola delizie tunisine. Le telefonate tra i due sono state di giovamento alla trattativa del ministro dell’Interno, tornato in Italia con un risultato che segna una svolta nel contrasto all’immigrazione irregolare. La Tunisia si riprenderà tutti i clandestini a rate cospicue e sollecite.
Il problema che si trascina tuttavia da tempo è la permanenza degli immigrati nei centri di identificazione ed espulsione (Cie). Gli stessi complessi erano stati definiti dal centrosinistra centri di permanenza temporanea (Cpt). La differenza è visibilmente ideologica. Il centrodestra dà per scontata un’espulsione che per il centrosinistra non lo era. Ma espellere un clandestino è terribilmente difficile. Quasi impossibile con i limiti attuali di permanenza nei centri fissati a due mesi. È da escludere che, con la migliore buona volontà, la Tunisia, per fare un esempio, possa riprendersi nel giro di un mese o poco più tutte le 1.200 persone sbarcate da tempo a Lampedusa. Urge dunque l’attuazione della normativa europea che prevede la detenzione in questi centri fino a 18 mesi.
Dal punto di vista umanitario la cosa non è entusiasmante. Ma rappresenta l’unica strada possibile per arginare l’invasione. Nel Cie di Roma ho incontrato l’estate scorsa un simpatico signore che mi ha detto di chiamarsi Mustafà. È un clandestino di professione. Si trova in Italia dal 1991, ha cambiato nome 26 volte e non si sa da dove venga. Arrestato sei volte, soltanto due è stato in carcere per non più di sei mesi (atti di libidine, estorsione, rissa aggravata, lesioni e quant’altro). Gli è stata notificata l’espulsione tre volte, inutilmente. Qualche giorno dopo il nostro incontro, Mustafà era di nuovo libero e mi ha anticipato il suo programma di lavoro clandestino: pomodori a Foggia, olive in Calabria, arance in Sicilia. Se lo arrestano di nuovo, altri due mesi in un centro e poi si ricomincia. È chiaro che se la prossima volta Mustafà dovesse rimanere nel centro 18 mesi e altri 18 la volta successiva, forse si deciderebbe a dire da dove viene e forse tornerebbe al suo paese.
L’altra partita di Maroni si giocherà nelle settimane prossime in Libia. Gli hanno promesso che in febbraio cominceranno i pattugliamenti congiunti delle coste.
Resta il problema della Romania. Fummo dei pazzi a non ritardarne l’ingresso nell’Unione Europea e come al solito ne paghiamo le conseguenze più di tutti. La delinquenza romena è concentrata soprattutto a Roma, dove i romeni compiono un terzo di tutte le violenze sessuali, al pari degli italiani. Per fortuna vengono arrestati in tre casi su quattro. Per loro la punizione peggiore sarebbe scontare la pena in Romania. Finora il governo di Bucarest ha risposto picche, ritardando sine die il riconoscimento delle nostre sentenze. Finalmente l’Unione Europea ha reso automatico il riconoscimento. Ma la normativa deve essere recepita.
La conclamata amicizia tra i nostri paesi dia frutti. Altrimenti si rammenti ai nostri imprenditori che ci sono tanti altri posti in cui delocalizzare le fabbriche. Come con il Brasile per Cesare Battisti, ci sono limiti insuperabili. Costi quel che costi. l