di Paolo Granzotto
Per la sinistra e per la Repubblica che ne costituisce il pensatoio, non esiste più un «caso Eluana». O, meglio, sussiste solo come pretesto per aprirne un altro, il «caso Berlusconi». Impaziente di procedere alla consumata pratica di speculare sui cadaveri, questa volta i «sinceri democratici» non hanno nemmeno avuto il pudore di attendere il decesso - da loro per altro invocato - della povera donna per saltarci su a piè pari e, con quell’alibi, sferrare una campagna d’odio nei confronti di Silvio Berlusconi. Col chiaro intento di delegittimizzarlo, dare così la spallata risolutiva al governo e riappropriarsi di ciò a cui più tengono: il potere.
E infatti, nella sua domenicale omelia Eugenio Scalfari, fondatore della Repubblica, pur appellandovisi dedicava solo un pugno di righe a Eluana (appesantite, fra l’altro, da zavorra di bassa retorica, «il pianto delle suore», «le grida delle madri») per destinare il restante dello smisurato editoriale a quello che in inglese è ben definito come «character assassination», il sistematico massacro della figura pubblica di Silvio Berlusconi. Accusato dal Fondatore d’aver pretestuosamente sollevato il caso Eluana un po’ per stornare l’attenzione dell’opinione pubblica dalla crisi economica, molto per dar sfogo alla sua «pulsione dittatoriale».
Non ricorre a metafore o a mezzi termini, Scalfari: «Mi viene in mente il discorso alla Camera di Benito Mussolini del 3 gennaio 1925» e quella frase «poi entrata nella storia» che suona: «Avrei potuto fare di quest’aula sorda e grigia un bivacco di manipoli» che diede il via alla dittatura. «Vedo preoccupanti analogie», conclude Scalfari, rassegnato a che il rinsavimento di Berlusconi «sia ormai un vano esercizio ed una svanita illusione». Il regime, insomma, non è alle porte: è già dentro.
Meno apodittico, ma altrettanto abbietto il coro. Dopo aver premesso che le considerazioni e le prese di posizione sulla sorte di Eluana Englaro gli evocano non Mussolini, essendo quello un ricordo riservato al Fondatore, bensì i «torbidi disegni politici» al tempo del rapimento di Aldo Moro, Corrado Augias ha la spocchia di scrivere che il presidente del Consiglio «ha insultato Beppino Englaro dicendo che lui non staccherebbe la spina. Fa ridere che Berlusconi abbia una visione etica del problema, con tutto ciò che c’è nel suo passato». Fa ridere, semmai, Augias, uomo non privo di un bel passato ricco di emozioni e di esperienze, diciamo così. Eppure eccolo ergersi a giudice e con piglio giacobino stabilire chi abbia o meno il diritto di dirsi favorevole o contrario a dare la morte, per sete, a Eluana. Michele Serra, siamo sempre in area Repubblica, liquida invece i passi di Berlusconi per mantenere in vita Eluana come un «osceno spettacolo», proprio così: osceno, e le considerazioni addotte «ciancia superficiale di un inopportuno». E questo perché «ogni volta che Berlusconi pronuncia anche una sola parola sulla famiglia Englaro mi sento umiliato dalla sua grossolanità morale». Sottintendendo, ben inteso, che la sua morale è di ben altra lega e dunque abilitata a esprimersi sul caso Englaro, caldeggiando una sentenza di morte. Per sete.
Anche l'Unità non scherza nel demonizzare Berlusconi con il pretesto di fare gli interessi di Eluana. Come da tradizione il quotidiano che fu di Gramsci ha lanciato una raccolta di firme non «per Eluana», ma «per l'Italia» (a rischio dittatura berlusconiana) che comprendono già quella di Dacia Maraini, Rita Levi Montalcini e Franca Rame, tutte firmaiole inveterate. A quest'ultima e al marito Dario Fo è anche stata chiesta una «testimonianza» la cui volgarità e insensibilità lascia tramortiti. Contestando a Berlusconi l’aver detto che un essere in grado di procreare, di dare la vita, non può ritenersi morto, come invece sostengono i fautori della esecuzione di Eluana, la «coppia del Nobel» così si è espressa: «Stai a vedere che ora la questione diventa se quella povera donna riesca pure a fare l’amore... Poi si sveglia e dice: chi è il padre di mio figlio?». Non solo speculano sul calvario di Eluana Englaro. Ci sghignazzano pure sopra.