Proponiamo l’intervento del senatore Marcello Pera, durante la discussione delle mozioni in materia di trattamenti di alimentazione ed idratazione, pronunciato al Senato il 10 febbraio 2009
Signor Presidente, onorevoli colleghi,
nell’esprimere il voto favorevole mio e del mio Gruppo alla mozione presentata dal senatore Gasparri e da altri sentori, farò anch’io riferimento all’articolo 32 della Costituzione, che è stato certamente il più citato. Non è l’unico articolo della Costituzione pertinente per decidere la questione che abbiamo al nostro esame, e anzi sono un po’ colpito che altri articoli non siano stati ricordati, ma è certamente un articolo rilevante.
Se si legge attentamente l’articolo 32 della Costituzione, ci si accorge che esso fissa tre punti: il primo è che esiste una libertà terapeutica di scegliere o di rifiutare le cure. Recita l’articolo 32: “Nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario». Il secondo punto è che l’articolo 32 afferma che questa libertà terapeutica, di scegliere o non scegliere cure, può essere vincolata da una legge: «Nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”.
È evidente perciò che una legge può consentire l’esercizio positivo della libertà di cura o di rifiuto della cura.
Vi è poi un terzo punto nell’articolo 32 che è importante quanto gli altri due: qualunque legge si voglia o si debba fare in ossequio all’articolo 32, qualunque legge sulla libertà di curarsi o sul rifiuto delle terapie, qualunque legge ha un limite; e la nostra Costituzione dà un nome, ripetutamente, a questo limite. L’articolo 32 chiama questo limite rispetto della persona umana; l’articolo 41 della Costituzione introduce un’altra espressione equipollente per nominarlo e parla di dignità umana; e poi c’è l’articolo 2, che è stato il più negletto di tutta la nostra discussione, anche da parte della pubblicistica, sull’argomento.
L’articolo 2, che rileggo per ricordarlo in primo luogo a me stesso, dice, dando il nome a quel limite invocato anche dall’articolo 32: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo”. Sono espressioni molto serie, sono espressioni molto gravi.
“Riconosce e garantisce» significa che la Repubblica non li crea questi diritti inviolabili dell’uomo, non li dispone, non li può approvare, non li può correggere. Sono diritti che esistono prima della Costituzione, sono diritti che esistono prima dell’esistenza di una comunità politica o statale, sono diritti che stanno lì e che la Costituzione, il Parlamento, la comunità politica, deve solo riconoscere, cioè prenderne atto, tutelarli e rispettarli. E sono inviolabili, cioè non negoziabili, non cedibili, non modificabili: sono diritti assoluti, preesistenti, legati all’uomo in quanto uomo. Ecco il nome proprio del limite fissato dall’articolo 32 della Costituzione.
Ora, la questione che qui si pone e che è stata dibattuta in questi giorni, in queste ore, e per tanto tempo anche, è se violare la vita di una persona, consentire ad una persona in stato terminale di porre termine ai suoi giorni, sia o no una violazione dei limiti posti dagli articoli 32 e 2 della Costituzione. Nel caso specifico il problema che si pone è se sottrarre alimentazione ad un paziente terminale sia o no violare quei limiti, con quel nome. Voi, molti di voi - mi riferisco ai colleghi della sinistra - avete detto: no, anche la vita è violabile, anche il diritto alla vita è disponibile quando la vita non è più vita e non ha più dignità di vita. Io credo che qui vi sbagliate: credo che dicendo così vi poniate fuori dall’articolo 32 e dall’articolo 2, perché quel paziente terminale, quel paziente in coma permanente, quel paziente che non ha più scientifiche e ragionevoli speranze di vita, quel paziente è ancora un uomo che ha la sua dignità, perché quel paziente che sta per lasciarci per sempre è una persona.
Quel paziente è un individuo che chiede la nostra attenzione, con cui noi soffriamo e al posto di cui noi esprimiamo sofferenze. Quel paziente è un individuo che chiede la nostra comprensione, la nostra solidarietà, la nostra pietà; è un paziente che instaura con noi una comunità, è perciò un uomo che, in quanto uomo per l’articolo 2 della Costituzione italiana, ha diritti inderogabili, inviolabili, noi non possiamo toccarli. Quei diritti non sono violabili e non li può violare né il paziente medesimo in qualunque momento della sua esistenza, né i suoi genitori, né la magistratura, né il Parlamento; sono inviolabili. Per questo motivo sottrarre alimentazione a un individuo in quelle condizioni significa violare un suo diritto che appunto è inviolabile.
Voi usate anche un altro argomento a cui ho prestato molta attenzione; voi dite che in realtà lasciar morire, e perciò violare, sia pure eccezionalmente, il diritto fondamentale di quell’individuo, in realtà è consentito perché così facendo si rende un tributo alla sua libertà individuale. È un argomento che ha svolto in quest’Aula in particolare il senatore Veronesi; la libertà individuale. Ho ascoltato l’intervento del senatore Bosone, che era palesemente in replica e di critica a quello del senatore Veronesi, e dico che si sbaglia anche su questo punto. Togliere l’alimentazione ad un paziente, sia pure quando quel paziente non ha più ragionevoli speranze di vita, significa togliere la vita... e togliere la vita significa togliere il presupposto della dignità; ma se significa togliere la dignità, allora lì c’è la violazione di un diritto che è inalienabile.
Mi chiedo quale concetto è mai quello che viene introdotto di libertà individuale. Cos’è questa libertà individuale che è garantita entro certi limiti dall’articolo 32? La libertà individuale vuol dire forse discrezionalità assoluta? La libertà individuale vuol dire arbitrio? La libertà individuale vuol dire licenza di fare di sé e degli altri ciò che si crede o la libertà individuale è sempre accompagnata dalla responsabilità?. Confondere la libertà individuale con l’arbitrio, con la licenza, significa passare dalla civiltà della ragione alla barbarie dell’egoismo.
Colleghi, queste sono le ragioni che trovo nell’articolo 2, nell’articolo 32 e nell’articolo 41 della nostra Costituzione per dire che non possiamo sottrarre alimentazione a chi sta per lasciarci. Non ho introdotto alcun argomento religioso; non ce n’è bisogno. Non ho nemmeno introdotto alcun riferimento alla Chiesa cattolica, né ho fatto - come ha cercato di fare questa mattina il senatore Ichino - opera di maestro nei confronti della Chiesa cattolica inducendola ad essere meglio Chiesa cattolica. Non ho usato nessuno di questi argomenti.
Per i laici autentici, per quanto riguarda la religione, basta la religione dell’articolo 2 della Costituzione; è sufficiente per prendere le nostre decisioni. È la religione di quell’articolo 2 che stabilisce che siamo tutti uguali in dignità, abbiamo tutti gli stessi diritti fondamentali rispetto a quella dignità. C’è stato un tempo, cari amici, che i laici non avevano timore di dare un nome alla religione dell’articolo 2 della Costituzione; avevano il coraggio di darlo quel nome. La religione dell’articolo 2 della Costituzione è la religione cristiana.
Oggi molti laici lo hanno dimenticato, oggi molti laici credono che questa religione sia di ostacolo, credono che l’interprete di questa religione, cioè la Chiesa cattolica, sia di impedimento o interferisca, credono che senza quella religione noi saremmo più liberi, renderemmo più omaggio alla libertà individuale.
È un altro grave errore. I laici hanno bisogno, per decidere su argomenti come questi, della religione dell’articolo 2. Sanno da dove viene quella religione dell’articolo 2, ne sono fieri, sono disposti a testimoniarla e a difenderla. Altri laici, invece, affievoliscono la consapevolezza della religione dell’articolo 2 (il senatore Ichino parlava di una generica tradizione biblica), oppure ritengono la religione cristiana un ostacolo. Noi pensiamo diversamente, non abbiamo bisogno di nessun ammaestramento di nessun magistero, la Costituzione ci dà i parametri giuridici e culturali sufficienti per prendere le nostre decisioni.
Chi volesse decidere diversamente sarebbe non soltanto contro agli articoli 2, 32, 41 della Costituzione e gli altri analoghi, ma sarebbe anche contro la pietà che si deve a tutti quanti i membri dell’umano consorzio.