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 AI BRAMBILLA NIONPENSA NESSUNO, l'opinione di MAURIZIO BELPIETRO Data: 12/02/2009
Appertiene alla sezione: [ Opinione ]
Tira una brutta aria per le piccole e medie imprese. Non solo perché la crisi fa crollare gli ordinativi (in qualche caso a gennaio anche dell’80 per cento, come mi ha confidato un industriale), ma perché è difficile trovare credito. Le banche, spaventate dall’andamento dei mercati, hanno iniziato a chiudere i rubinetti. Da Est a Ovest, soprattutto nel Nord, sono numerosi i casi di aziende che si sono viste negare nuovi prestiti, mentre altre hanno ricevuto lettere che le informano del rialzo dei tassi, nonostante nel frattempo la Banca centrale europea abbia ridotto al minimo il prezzo del denaro.
A causa di questa situazione, tra i piccoli e medi imprenditori del Settentrione sta montando una rabbia che non si tiene più. Mi raccontano gli amici che di questo malumore profondo ha avuto prova anche un banchiere navigato come Enrico Salza, presidente del consiglio di gestione dell’Intesa Sanpaolo, il quale, durante un convegno a Torino, ha dichiarato che il credito non è un problema, essendoci ampia disponibilità del sistema bancario, suscitando l’ira della platea. Ad Alessandro Profumo è andata peggio. Come leggete nell’Indiscreto, a pagina 35, il capo dell’Unicredit, a Treviso, parlando a un dibattito organizzato dalla locale Confindustria, se n’è uscito con una frase in cui spiegava che oggi le banche che concedono mutui alle famiglie fanno un’operazione in perdita a priori. Il banchiere non aveva neppure terminato la frase che nella sala di Ca’ Tron si è udito un sonoro «Si vergogni!», con grande scompiglio tra gli imprenditori presenti.
Cito i due episodi perché mi sembrano segnali evidenti di un sentimento diffuso. E soprattutto di un problema. Visto che la grande industria non se la passa molto bene, se non si fa qualcosa per sostenere la piccola e media impresa, si rischia il collasso. Il qualcosa è proprio il credito. Da un appunto riservato della Banca d’Italia del 12 gennaio risulta evidente che le banche hanno stretto i cordoni della borsa. Trascrivo testualmente: «I prestiti bancari alle famiglie hanno iniziato a decelerare già prima del luglio 2007 (mese in cui è scoppiata la crisi dei mutui subprime), mentre per i prestiti alle imprese la frenata è visibile da gennaio 2008».
Sicuramente privati e aziende hanno ridotto le richieste di finanziamenti spaventati dalla crisi, ma credo che un ruolo rilevante in questa frenata l’abbia provocato l’irrigidimento degli standard creditizi. Lo stesso appunto del servizio vigilanza della banca centrale spiega che, nel 2008, a diluire fortemente i prestiti bancari alle piccole imprese sono stati i primi cinque gruppi bancari italiani.
E per i prossimi mesi le cose potrebbero peggiorare, perché, spiega sempre Bankitalia, ci sarà una riduzione dell’offerta di credito e verranno applicati tassi passivi più elevati, con il rischio di una recessione ancor più grave di quella che stiamo toccando in queste settimane.
Capisco che una grande azienda come la Fiat attiri l’attenzione della politica e dei giornali molto di più di un’impresa che dà lavoro a 10, 15 o 100 operai. E comprendo anche che la minaccia di 60 mila disoccupati in piazza, se non si sosterrà l’industria dell’automobile, spinga ad aprire tavoli di trattativa, tavole rotonde e anche triangolari. Ma sono altrettanto convinto che se saltano nel silenzio decine di migliaia di piccole imprese, perché gli è stato negato il credito, il disastro sarà infinitamente più devastante di quello della Fiat. Siamo di fronte a un’emergenza nazionale e il governo non può rimanere inerte.
Non chiedo di non dare incentivi alla Fiat, se non altro perché altri paesi stanno sorreggendo con forti iniezioni di denaro pubblico le proprie case automobilistiche. Chiedo che in egual misura si aiutino anche le piccole e medie imprese. Soprattutto nel momento in cui si dà una mano (e anche i soldi) alle banche.

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