Tre assoluzioni, un prossimo ricorso in appello, per ora nessuna verità. Il primo grado del processo per l'assassinio della giornalista Anna Politkovskaya si è chiuso oggi con una decisione unanime dei giurati: l'ex agente dell'Interno Sergey Kadzhikurbanov e i due fratelli Ibrahim e Dzhebrayl Makhmudov, imputati come potenziali informatori e 'aiutanti' dei killer, sono innocenti. O meglio, come scandito dal giudice per ogni imputato: "colpa non dimostrata, non colpevole". Assolto anche Pavel Ryaguzov, ex colonnello dei servizi segreti, l'Fsb, il cui caso era stato stralciato dal dossier Politkovskaya, ma che restava accusato di coinvolgimento nell'aggressione di un businessman (Eduard Ponikarov) nel 2002. Dunque due casi irrisolti.
"Una vergogna", ha commentato il presidente dell'Unione giornalisti russi Vsevolod Bodganov, seguito da dichiarazioni di sdegno di attivisti per i diritti umani e di quanti avevano incrociato sul loro cammino professionale e umano la 'scomoda' Politkovskaya. Lapidario il commento di Dmitri Muratov, il direttore di Novaya Gazeta, la testata per cui scriveva la reporter uccisa nell'ottobre 2006: "la vera inchiesta deve essere ancora fatta, il caso non è chiuso", ha detto. E comunque vada, il processo finito sulle prime pagine di tutto il mondo è stato un processo a figure secondarie, alla sbarra come gregari nell'organizzazione dell'omicidio. Non è mai comparso un mandante concreto e il killer - secondo l'accusa Rustam Makhmudov, fratello di due degli imputati scagionati - è latitante, forse all'estero. La famiglia della Politkovskaya ha ribadito la richiesta di individuare "il vero esecutore dell'omidicio: lo esigiamo e lo otterremo", ha detto la legale dei parenti, Karina Moskalenko, all'agenzia Interfax.
I giurati sono rimasti in camera di consiglio solo un paio d'ore, racconta Radio Ekho di Mosca, attesi in aula da una spessa folla e da molta più gente fuori dal tribunale, sulla centralissima via Arbat. Alla fine del pronunciamento della giuria, imputati e difesa hanno applaudito e ringraziato. "Dio grazie, grazie alla giuria", ha esclamato Ibrhim Makhmudov. In attesa di sviluppi, i tre assolti sono stati subito rilasciati, direttamente dall'aula dell'ultima udienza. La gabbia con le sbarre di ferro è stata aperta, sono seguiti abbracci con i parenti, in particolare con il padre dei due fratelli arrivato in tribunale da convalescente dopo un'operazione al cuore. "Questa si chiama giustizia", ha detto l'avvocato della Difesa Murad Musayev, che chiederà un indennizzo per i propri assistiti.
Di opinione diametralmente opposta i legali della famiglia Politkovskaya e i colleghi della giornalista uccisa. Reporters Senza Frontiéres ha diffuso un comunicato per denunciare "irregolarità, incoerenza, opacità durante il processo" e per assicurare alla famiglia della collega "sostegno nella ricerca della verità".
Verità che non è comparsa nell'aula del tribunale militare moscovita. Eppure dopo due anni di indagini piuttosto inconcludenti, e un tentativo di procedere a porte chiuse, il procedimento ha rilanciato la dimensione simbolica del caso Politkovskaya come termometro della libertà dei media e della giustizia in Russia. Quando lo scorso novembre un giurato ha sconfessato il capo della corte militare, Evgeny Zubov, che aveva annunciato un processo a porte chiuse perchè la giuria temeva rappresaglie, l'attenzione dei media è stata amplificata, con l'effetto contrario a quanto sperato dal togato.
Su questo fronte il risultato è evidente. Nessuna ipotesi sul mandante, benchè a un certo punto si sia parlato di una "figura politica di alto livello". La 'pista cecena' è stata lasciata de facto cadere con la ritrattazione dell'ex agente Ryaguzov su Shamil Burayev, un ex governatore ceceno che gli avrebbe chiesto informazioni sulla giornalista, compreso l'indirizzo di casa. L'ex agente segreto ha sostenuto di avere fatto quelle dichiarazioni a causa di non meglio specificate "pressioni". C'è poi la pista quasi 'innominabile' in Russia: quella del potere, dei militari scomodati e spesso accusati dalla giornalista, e su, fino al Cremlino. Politkovskaya era la voce anti-Putin per eccellenza, ed è stata uccisa da cinque colpi di pistola nell'androne del condominio in cui abitava il 7 ottobre, giorno del compleanno dell'attuale premier. Un fatto talmente eclatante da lanciare l'ipotesi di un omicidio mirato a danneggiare Putin, che certo non amava la giornalista e che l'ha definita "poco importante" anche dopo la sua morte. Ma che altrettanto certamente non ha gradito l'inevitabile collegamento al giorno della sua festa.