RISCHIO DI ISOLAMENTE DELL’ITALIA A CAUSA DELLA POLITICA ECONOMICA ERRATA DI QUESTO GOVERNO
Le leggi non scritte che normalizzano l’economia mondiale influenzano sicuramente le strategie nazionali in guisa agli avvenimenti internazionali. Il profilo sociologico dell'economia, il risvolto psicologico della Borsa, basato sulle analisi dei sussulti e dei timori occulti del mondo globalizzato, può statuire il danno d'immagine all'economia di un Paese. L'Italia è tra le prime dieci potenze economiche del pianeta - una volta era la quinta assoluta - ed ha una potenzialità incredibile di sviluppo, ma, in questo momento, vive una stagnazione preoccupante. Non tanto per lo stato di salute delle sue strutture. Il nerbo delle piccole e medie imprese è sano e la grande impresa è competitiva, ma nell'aria si sente il cambiamento. La scelta politica della sinistra di tassare le imprese dopo aver promesso importanti agevolazioni fiscali e l'apertura di nuovi spazi di mercato mercé un'innovativa strategia del governo ha cagionato e cagiona disagi e malumori.
Disagi in chi, come molti industriali, non aveva creduto fino in fondo alla renaissance di Berlusconi, come hanno dimostrato i fatti, dopo cinque anni di buon governo. Concedendo fiducia alla sinistra, gli imprenditori hanno scelto una via ardua, che li vincola a fare i conti con i problemi di sempre, ma amplificati da una visione centralista, interventista, ingessata dell'economia, come dimostrano le polemiche sulla legge Biagi e le diatribe infinite sul nodo-pensioni. In breve, diverrà asfittica e non più competitiva.
I malumori: quelli della base delle piccole e medie imprese, che scorgevano nella visione politica del governo Berlusconi l'unica strada per rimanere competitivi in un mercato senza regole, puntando su incentivi ed elasticità procedurale. Alla luce delle recenti vicissitudini dell'economia italiana, i mugugni si sono tradotti in aperto dissenso con quanti hanno nettamente sostenuto la sinistra al governo nella competizione elettorale. Oggi, i primi ad essere delusi della strada imboccata sono proprio quelli che apertamente si schierarono contro il Cavaliere e che tentano adesso di prendere accuratamente le distanze dalle strategie economiche sin qui difese.
La nostra amata nazione paga scelte protezionistiche e centralistiche che non puntano all'eccellenza in settori ritenuti nevralgici in nome di un astratto concetto di italianità, ma, nei fatti, cristallizzano il mercato, scoraggiando gli investitori. L’Unione Europea ha già bacchettato l'Italia, ritenendo tale posizione protezionistica non in linea con le direttive del libero mercato. In pratica, la diffidenza degli imprenditori verso un'Italia troppo protettiva con le proprie imprese si traduce in un'analoga politica di contrasto all'espansione all'estero delle nostre aziende e, sul piano interno, in un incremento insostenibile del costo del lavoro, in tempi medi, a fronte di una riduzione delle quote di mercato. Contrazione ancora più vistosa in virtù delle barriere burocratiche erette da una fiscalità onerosa: tutti fattori che determinano la scelta degli investitori stranieri di indirizzarsi verso altri mercati. E l'Europa non è il solo mercato in cui ci si deve muovere. Vi sono anche i temibili rivali dei maggiori Paesi per far comprendere come sia importante varare strategie di alleanza forte e diversificata, agili, allo scopo di tenere botta sulla cresta dell'onda mercantile globalizzata.
L’economia italiana rischia l'avvitamento, soffocata dalla poca propensione della sinistra a politiche concrete di alleggerimento della pressione fiscale e di sostegno alle imprese. Più che l'autarchia o l'eccessiva protezione delle imprese, si rischia l'isolamento internazionale. Qualche giorno fa, la BCE (Bavca Centrale Europea) ha evidenziato che il debito pubblico italiano è ancora elevato e che va subito risanato; con quali soldi? Forse, con il famoso tesoretto: La differenza con l'autarchia del Ventennio è che allora si puntava sulle grandi opere, sull'efficienza della macchina produttiva e sull'incremento del prodotto industriale. L'autarchia indotta della sinistra è frutto di una cristallizzazione del mercato, la cui crescita è rallentata dai vincoli di tipo burocratico e politico imposti dall'alto e che non produce incrementi significativi del prodotto interno lordo, anche per la contrazione dei consumi. Ci vorrà molto tempo prima che si ridetermini il clima di simpatia che seppe suscitare il governo Berlusconi. Clima politico che si traduceva in espansione dei mercati e commesse importanti in settori di eccellenza. L'isolamento conduce alla povertà. Il contrario del benessere diffuso, obiettivo di una politica liberale. No, decisamente il clima non è buono per l'economia italiana, né si intravedono prospettive immediate di ripresa, in costanza di questa politica economica.GIUSEPPE PACCIONE