Ora Silvio Berlusconi si affaccia sul vuoto, e il vuoto può dare le vertigini. L’opulenza politica di Berlusconi sta diventando minacciosa. Resistergli si dimostra impossibile. L’unico partito politico serio rappresentato in Parlamento come opposizione (Antonio Di Pietro è il solito bluff giustizialista) è in pezzi, con una leadership provvisoria che durerà mesi, tendenze centrifughe sconclusionate, personalismi risentiti, battaglie tra capi senza elettori, senza bussola, senza visione. Dopo la vittoria elettorale del 1996 i leader del centrosinistra indebolirono e cacciarono Romano Prodi, poi Massimo D’Alema, infine Giuliano Amato. Dopo la sconfitta del 2001 si preoccuparono di bloccare Sergio Cofferati, l’uomo delle grandi battaglie sindacali: vollero impedire che la sua idea di un partito labour, rifondato nel segno della cultura Cgil, potesse prendere corpo.
Dopo la vittoria mutilata del 2006, in effetti un meschino pareggio, Prodi fu fatto a fettine in breve. Ora è stata la volta di Walter Veltroni, del suo progetto di Partito democratico. Perdere e perdersi, sempre con il contributo dello scorpione D’Alema, è ormai la regola del centrosinistra, confuso dalla fine anomala della vecchia Repubblica e dalla straordinaria fantasia della storia italiana. E Berlusconi deve cominciare a considerare seriamente la situazione di potere abissale che si trova davanti dopo il trionfo contro il presuntuoso Renato Soru.
Tutto il sistema istituzionale, e questo Berlusconi l’ha capito benissimo, è fatto per impedire a uno come lui di godersi il consenso carismatico e personale conquistato nelle urne e di spenderlo come crede necessario. Il populismo democratico non è nel dna della Costituzione, come il decisionismo. Al contrario, la Repubblica è fatta per scoraggiare cavalcate solitarie, che figurano sempre come forzature. Lo si è visto bene nello scontro sulla decretazione d’urgenza con il presidente Giorgio Napolitano, chiuso da un provvisorio compromesso.
Le fortune recenti di Berlusconi sono nate da un equilibrio ricostruito, quello bipolare, con la leadership di Veltroni che prometteva un accordo di sistema, superava l’ulivismo di Prodi, metteva ai margini la sinistra radicale e il fronte demagogico dell’antiberlusconismo apocalittico e demonizzante. Tutto questo si è consumato e ora viene a mancare del tutto: tabula rasa. Berlusconi ne risulta più potente nel Paese, nella sua stessa alleanza politica, ma sempre più solitario. E qui si annidano pericoli.
Una situazione squilibrata come questa il sistema istituzionale italiano, fitto di consorterie e di contrappesi non limpidi, sottratti al potere degli eletti e considerati burocraticamente neutri, la corregge o tende a condizionarla con decisioni subdole. Vedremo per esempio che cosa farà il potere neutro della Corte costituzionale con il lodo Alfano, che è l’ultima versione, approvata con il consenso di Napolitano, dell’inviolabilità presidenziale francese.
Ma intanto Berlusconi può utilmente lavorare non tanto per occupare tutto lo spazio resosi disponibile, tentazione bulimica che non gli è estranea per carattere, quanto per dare un assetto rassicurante al suo sistema di governo. Non c’è l’opposizione? Il premier deve fare come se ci fosse, deve moltiplicare la sua capacità di interlocuzione, consultare i diversi soggetti, premunirsi contro la governabilità nel vuoto che rischia di diventare vischiosa, scivolosa, insidiosa.
Se c’è un momento in cui Berlusconi può ottenere quello che non gli è mai riuscito di ottenere, una piena legittimazione politica come arbitro e garante di una nuova Repubblica, il momento è questo. Massimo del potere, massimo della disponibilità. Massimo di autonomia decisionale, massimo di interdipendenza e di legame con ogni giuntura del meccanismo istituzionale.
La via al Quirinale, per un uomo di 72 anni e per la sua straordinaria parabola, è fatta di un potere di persuasione superiore perfino al solitario potere di decisione.
Condividi