di Filippo Facci
Divertente: Luigi De Magistris che viene strombazzato come candidato dell’Italia dei Valori e poi il giorno dopo risulta indagato per concorso in abuso d’ufficio e interruzione di pubblico servizio. Giustizia a orologeria? Più facile il contrario, conoscendo un classico di Di Pietro: anticipare i tempi per scambiare le cause con le conseguenze. Tutta questa fretta di annunciare la candidatura di De Magistris, in effetti, era strana. Ora almeno se ne parlerà. Ieri mattina, invece, colpiva che la candidatura di De Magistris non avesse avuto molto spazio sui giornali: come se la notizia fosse stata scontata, meglio: come se avesse meritato lo stesso spazio che la stampa italiana riserva a quelle sentenze regolarmente deludenti che sono epilogo, dopo anni, di indagini che avevano fatto un baccano d’inferno.
Dunque l’indagato De Magistris riavrà nuovi titoli sui giornali benché sia ormai chiaramente una pila scarica che non è mai stata carica, fumo senza nemmeno la percezione di un arrosto, archetipo finale e degenere del magistrato eroe di chissà che cosa, e perché, e contro chi. La verità è che la sua candidatura nelle liste di Di Pietro è una buona notizia, perché in fin dei conti andrà all’Europarlamento a combinare ciò che concretamente ha fatto con le sue inchieste (niente) ma almeno senza nuocere al prossimo, sprovvisto di quei delicatissimi strumenti che possono incidere sulle libertà altrui in virtù di un bastevole concorso pubblico vinto da neolaureato.
La sua candidatura è una buona notizia perché l’affiliazione col molisano dei favori lo inquadra definitivamente per ciò che è: il testimonial di un’evanescenza missionaria contro un generico «potere» fatto di «nuova P2», «strategia della tensione», «massoneria», «poteri occulti coadiuvati da pezzi della magistratura» e ovviamente «settori deviati di apparati dello Stato»: i virgolettati sono suoi, e hanno progressivamente fatto parte delle cosmogonie giudiziarie che ebbe via via a ingigantire in proporzione a un’esposizione mediatica che alla fine lo sbalestrò, lo catturò senza ritorno: bastava guardarlo in faccia ogni volta che taccuini e telecamere lo circondavano, bastava osservare quel compiacimento represso che pure fu del Di Pietro versione Mani pulite.
Il dettaglio è che dietro le sue inchieste Poseidone e Why not, che meritavano seri interrogativi solo dal nome che portavano, c’era un perfetto nulla. Ma noi, frattanto, c’eravamo abituati a tutto: a che un magistrato andasse ad Annozero mentre il Csm stava occupandosi di lui, a che il medesimo andasse al Parlamento europeo a fare una conferenza stampa con Beppe Grillo, soprattutto a che tutti facessero parte di una cospirazione contro di lui: dal capo dello Stato al vicepresidente del Csm, da ex magistrati come Luciano Violante all’Associazione magistrati, dai gip che respingevano le sue richieste ai giudici che le giudicavano, dal superiore che avocava alla Cassazione che rigettava, dal Parlamento della Repubblica a quel Csm che l’ha censurato, punito, trasferito: facendone pur sempre, però, un giudice a Napoli, un signore che decide della vita civile altrui. Meglio che vada, allora.
Luigi De Magistris, magistrato dapprima non politicizzato e tuttavia intriso di irrequietezze inadatte al ruolo, era ormai divenuto la caricatura di una caricatura, un sottoprodotto di un sottoprodotto, un eroe con la postura di un funzionario, un declaratore con l’accento da appuntato che parla di sé in terza persona, e che vorrebbe, ora, «portare le istanze di giustizia e verità» in Europa. Ma porti, porti: si accomodi al suo seggio di lenticchie, blateri del neo italico «prefascismo» e soprattutto pubblicizzi, tra una nuova norma sugli ottani della benzina e una sulla misura delle banane, che questa seconda Repubblica è fondata sulle «stragi organizzate da Forza Italia e dalla mafia», come dicono gli amici suoi. L’Europa non aspetta altro che lui, e Pino Arlacchi, Stefano Passigli, Rita Borsellino, magari l’hostess del Grande Fratello, forse una nuova indignatissima madre di Rignano Flaminio, non certo Marco Travaglio come si vocifera: non lo farà mai. Ma De Magistris vada, vada pure: la sua candidatura è una buona notizia anche perché ora, dei magistrati che si buttano in politica, ne hanno davvero piene le scatole tutti. Ieri, attorno ai moniti del vicepresidente del Csm Nicola Mancino che auspicava l’irreversibilità di certe scelte, c’era l’intero arco costituzionale, ex magistrati compresi. A parte uno, il solito: quello che da anni urlacchia «fuori gli inquisiti dal Parlamento» ma forse non dall’Europarlamento: perché De Magistris adesso è indagato. Terribile. Divertente.