L'opinione di Bruno Vespa alla vigilia del congresso di sciogimento di AN. e di fondazione del PDL
Nell’Otello di William Shakespeare il tradimento di Desdemona non c’era, ma Iago ne aveva bisogno per vendicarsi di una nomina mancata da parte del suo padrone. Giocò con un fazzoletto innocente e si sa com’è andata. La storia dell’annessione di An da parte di Forza Italia nel nuovo Popolo della libertà è nata allo stesso modo. Non c’è sondaggio d’opinione che lasci immaginare un’inquietudine del genere. Ma non c’è dubbio che scavando in profondità in alcuni angoli di un partito con una forte identità, come An, qualche dubbioso si trovi. Nasce così la notizia, quindi il titolo, quindi la campagna: An teme l’annessione per opera di Forza Italia.
Chi conosca minimamente la politica italiana sa che un’ipotesi del genere è semplicemente assurda. Quando la Margherita (in larga parte ex Partito popolare, cioè ex sinistra democristiana) è confluita nel Partito democratico, con una operazione storica di cui bisogna assegnare il merito a Walter Veltroni, i timori erano certamente più fondati. Non tanto perché il partito più debole si associava con quello più forte (la stessa cosa sta accadendo nel centrodestra), quanto perché il partito meno strutturato si fondeva con quello di gran lunga più organizzato. Basta vedere la selva di fondazioni inventate da quel genio di Ugo Sposetti per documentare che la rete organizzativa e finanziaria dei Ds non è stata intaccata. Nessuno scandalo: si fa la separazione dei beni tra sposi, figuriamoci se non può farsi tra partiti. Eppure, se uno come Massimo D’Alema parla di “amalgama non riuscito” del Pd, è perché le differenze stanno via via prevalendo sui tratti comuni.
Nel centrodestra questo rischio non c’è o è assai minore. È vero che il Msi dal quale viene tutto lo stato maggiore di An è storicamente agli antipodi del partito socialista dove sono vissuti Cicchitto, Sacconi, Brunetta, Tremonti, Frattini, Bonaiuti e, affettivamente, lo stesso Silvio Berlusconi. Per non parlare della Dc di Scajola, Formigoni, Alfano, Fitto e Rotondi. Ma i moderati del vecchio centrosinistra della Prima repubblica sopravvissuti a Tangentopoli hanno capito che soltanto con la massima coesione avrebbero potuto resistere all’attacco dei poteri forti (giudiziario o economico). Mentre gli ex missini, che pure cavalcarono Tangentopoli avendo tutto da guadagnarci, devono all’alleanza con i moderati superstiti di quella stagione il definitivo passaggio nell’area di una destra democratica europea riconosciuta a livello internazionale.
Con il paradosso che i parlamentari ex missini entreranno nel Partito popolare europeo senza che nessuno batta ciglio, mentre i parlamentari ex democristiani del Pd non potranno esserci avendo il loro nuovo partito fatto un’altra scelta.
Perché dunque non ha senso parlare di annessione di An da parte di Forza Italia? Innanzitutto perché la struttura organizzativa della prima è più forte di quella della seconda. E questo conta, anche in tempi di “partiti leggeri”. E poi perché Berlusconi non ha chiesto a Gianfranco Fini alcuno strappo che il leader di An non avesse già compiuto per conto suo. Con lo sdoganamento del 1993 (”Al Comune di Roma voterei Fini invece che Rutelli”) Berlusconi ha capito prima di altri che quel percorso stava avviandosi alla fase conclusiva. Il nuovo Pdl sarebbe perciò debolissimo con una componente di An mortificata e marginale.
Ci sono invece tutte le premesse per una partecipazione paritaria nei fatti e non solo nei patti scritti a tavolino. Anche se il leader, come ha riconosciuto correttamente Altero Matteoli, è Berlusconi. Perché conviene a tutti che si governi uno per volta.