E se avesse ragione Nichi Vendola, governatore della Puglia e leader di Sinistra e libertà? Non quando definisce Silvio Berlusconi “un individuo geniale”, ma quando riferendosi all’intera area della sinistra italiana ammette: “Noi abbiamo fatto un errore tragico, demonizzare il personaggio e intenderne poco il meccanismo culturale di riproduzione del consenso… Berlusconi ha vinto, prima che nelle urne, nei sogni e negli incubi degli italiani”. Ha vinto, cioè, intuendo prima degli altri i cambiamenti della società, assecondandoli e indirizzandoli.
Come riconobbe a suo tempo Fausto Bertinotti, Berlusconi è il miglior realizzatore di campagne elettorali che abbia conosciuto la politica italiana. Ma stavolta il Cavaliere è andato al di là delle urne. Mantiene pressoché intatto il suo consenso a un anno dal voto e durante la crisi economica peggiore degli ultimi 80 anni. Mentre dalla Grecia alla Francia la crisi ha determinato sommosse popolari, Le Figaro ha spedito in Italia il redattore capo del proprio supplemento settimanale per chiedersi come mai il presidente del Consiglio italiano non venga scalfito dalla crisi. E il ritratto del Cavaliere che ne esce è per lui piuttosto incoraggiante.
Nessuno chiede a Dario Franceschini di convertirsi alle tesi di Vendola. Ma c’è da domandarsi se la nascita del Popolo della libertà, e la definitiva e intelligente consegna dello scettro al Cavaliere da parte di Gianfranco Fini, non richieda a Pd e Pdl un confronto più alto delle insopportabili scaramucce nei tg. Anche se l’unità elettorale tra Forza Italia, Alleanza nazionale e i cespugli del centrodestra è vecchia di un anno, la formale costituzione del Pdl segna la nascita di quel partito moderato di massa che mancava alla politica italiana. Viene spontaneo il paragone con la Dc, fatte salve le ovvie distinzioni storiche.
La Dc aveva tuttavia una componente di sinistra che qui manca, tanto è vero che è confluita nel Partito democratico e ha proprio in Franceschini l’elemento più visibile e caratterizzante. Non ha molto senso chiedersi se ci stiamo avviando verso un bipartitismo: c’è spazio per i cinque partiti attuali e anche per un sesto della sinistra radicale. Ma non c’è dubbio che per la prima volta la semplificazione del sistema politico stia producendo una maggiore fluidità nell’azione di governo.
Se nel novembre 2007 Berlusconi disse in piazza San Babila a Milano: “Chi mi ama, mi segua”, lo deve anche alla svolta impressa da Walter Veltroni al Partito democratico. E la decisione del segretario pd di correre con il solo Antonio Di Pietro incoraggiò il Cavaliere a fare la lista unica e a imporre l’aut aut a Pier Ferdinando Casini. Se nel giro di due anni i gruppi parlamentari alla Camera si sono ridotti da 14 a 5 il merito è perciò di Veltroni e Berlusconi.
Oggi Veltroni non c’è più e Franceschini deve essersi convinto che per recuperare consensi il Pd deve tornare all’antiberlusconismo duro e puro. È la strada migliore? Ce lo diranno di qui a due mesi e mezzo i risultati delle elezioni europee. Ma sarei cauto. Storicamente (lo ricorda Vendola) la criminalizzazione del Cavaliere non ha portato bene alla sinistra. Oggi non siamo a questo. Ma il segretario del Pd sostiene ogni giorno che il governo non ne azzecca una. Statisticamente è improbabile.
Se si provasse a cercare qualche convergenza su un tema di straordinaria difficoltà come l’immigrazione, se l’opposizione trovasse del buono in un provvedimento largamente popolare come il piano casa (anche nella versione corretta), credo che ne guadagnerebbe in credibilità. Come sta facendo, con prudenza e con indubbia intelligenza politica, Casini.