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 COSTITUZIONE: DIAMO RETTA AMONTANELLI, di Maurizio Belpietro Data: 07/04/2009
Appertiene alla sezione: [ Opinione ]
«Il giudizio degli esperti ormai è quasi unanime e corrisponde a quello dell’opinione pubblica: l’inefficienza dell’attuale regime non è colpa soltanto della Costituzione, ma è colpa anche della Costituzione, fra i cui difetti il più grave è quello di essersi ammantata di una intoccabilità talmudica che ne rende praticamente impossibili le revisioni. I partiti, da essa privilegiati, le montano intorno una guardia ferrea». Il virgolettato potrebbe apparire una sintesi del Berlusconi pensiero. Non lasciatevi ingannare: la frase è di Indro Montanelli, che la scrisse 35 anni fa. Ne ho fatto un accenno nel numero scorso, ma, vista la polemica sui poteri del governo col contorno d’accuse al premier d’essere un dittatorello fascista, mi pare il caso di riparlarne.
Il fondatore del Giornale aveva idee precise su cosa non funzionasse nel nostro sistema: «La più grossa di queste magagne è l’impotenza a cui essa (la Costituzione, ndr) condanna l’esecutivo, cioè il governo. (…) Bisognerebbe anzitutto definire, rafforzandoli, i poteri del capo del governo, dei quali la Costituzione non dice nulla o quasi nulla». Il vecchio Indro non credeva alla soluzione presidenziale, perché, spiegava, con un sistema elettorale non bipartitico sarebbe stata macchinosa e inefficace. «In Italia è possibile solo qualche ritocco che consenta al capo del governo di esserlo un po’ di più, cioè di guidare il governo, e non di passare la giornata a fare il mediatore fra le forze che lo compongono per dirimere i contrasti. (…) Un’altra proposta è un uso più appropriato del decreto legge e della delega. Il Parlamento cioè dovrebbe delegare al governo il compito di legiferare sulle materie urgenti senza pretendere di fargli concorrenza. Dica sì o no ai decreti del governo, ma non li sottoponga alla chirurgia degli “emendamenti” che, oltre a insabbiare per mesi, e talvolta per anni, delle decisioni che invece vanno prese subito, finiscono sempre per snaturarle e renderle irriconoscibili».
I lettori mi scuseranno l’ampia citazione. Mi pareva però interessante dar conto compiutamente di ciò che sosteneva un giornalista non sospettabile di piaggeria nei confronti del Cavaliere, se non altro perché le frasi riportate sono state scritte ben prima della discesa in campo dell’attuale presidente del Consiglio. Montanelli, come molti altri, era convinto che la Costituzione fosse vittima di una vecchiaia precoce e che un lifting per nasconderne le rughe e le crepe non fosse affatto un illecito democratico. Insomma, il saggio Indro, come un Berlusconi qualunque, auspicava che si facessero degli aggiustamenti per rimediarne le magagne.
Immagino le obiezioni: quando pubblicò quelle opinioni, l’ex direttore del Giornale era ancora ritenuto un fascista, a cui vietare di parlare in tv, come scrisse il democraticissimo Eugenio Scalfari; all’epoca non si era ancora emendato con l’antiberlusconismo acceso, al quale si convertì negli ultimi anni della sua vita. Ma se si leggono le proposte di Montanelli senza le lenti della faziosità, e senza la preoccupazione di stare o no dalla parte del Cavaliere, non si può che convenire sul fatto che si tratti di suggerimenti di buon senso.
Oggi un governo ha bisogno di anni per veder tradotta in pratica una propria decisione e, quando arriva il momento di misurarne gli effetti, la maggioranza cambia e con essa anche la decisione, che viene subito cancellata dal nuovo esecutivo. Lasciare al Consiglio dei ministri il compito di legiferare sulle materie importanti e improcrastinabili renderebbe invece l’azione di governo più efficace. Capisco che per arrivare a tanto bisognerebbe smettere di gridare al lupo. All’allarmismo non crede più nessuno. Eppure, una parte della classe politico-giornalistica non riesce a rinunciarvi.

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