Nei suoi due discorsi al congresso fondativo del Popolo della libertà, Silvio Berlusconi ha parlato complessivamente per 2 ore e 40 minuti. Ma la frase di gran lunga più impegnativa è durata appena un paio di secondi: “Non lasceremo indietro nessuno”. È la sfida più importante che egli deve affrontare da quando 15 anni fa ha deciso di fare politica.
Il presidente del Consiglio si vanta di non avere mai licenziato nessuno nella sua attività di imprenditore: è l’uomo del fare, del crescere, e caratterialmente è un generoso, come riconoscono anche quanti non lo amano. Alla fine dell’anno scorso soffriva visibilmente per non poter mettere le mani nella cassa su cui si era seduto Giulio Tremonti: avrebbe voluto distribuire un po’ di soldi in più, magari nelle tredicesime, ma oggi bisogna ammettere che la prudenza del nostro Tesoro è stata finora la scelta migliore, riconosciuta anche nell’ultimo rapporto dell’Ocse.
Non lasciare indietro nessuno, dunque: che vuol dire in concreto? Un esempio di solidarietà lo ha dato la Chiesa che salverà il bilancio di 20-30 mila famiglie numerose o con ammalati a carico garantendo un prestito mensile di 500 euro per 12 o 24 mesi, con restituzione dilazionata a cinque anni a tassi contenuti. È ragionevole pensare che Berlusconi (con strumenti tecnici diversi) punti a qualcosa di analogo perché nessuna persona che perde il lavoro debba trovarsi completamente scoperta.
La valutazione Ocse del 9 marzo quotava la disoccupazione italiana al 6,7 per cento, contro l’8,4 per cento europeo. Venti giorni dopo (31 marzo) è salita al 9,2 per cento per quest’anno e al 10,7 per l’anno prossimo. Il dato è di un punto migliore dell’area euro ed è sostanzialmente equivalente a quello degli Stati Uniti. I numeri degli economisti vanno presi con le molle. È antica tradizione che, salvo luminose e rare eccezioni, non abbiano mai azzeccato le previsioni più importanti, a cominciare dalla gigantesca crisi in atto. Previsioni contraddittorie e in rapido mutamento servono a poco. Meglio guardare alla realtà e tenere i soldi pronti per intervenire.
A questo proposito, è possibile che stavolta Berlusconi convinca il suo ministro dell’Economia a sfondare i tetti dell’indebitamento per non lasciare tanta gente senza reddito. L’idea di portare la cassa integrazione fino alla copertura integrale del reddito, l’ipotesi di garantire un triennio di esenzione fiscale alle nuove imprese, un adeguato fondo di garanzia per attenuare i rischi delle banche nell’ampliamento dei prestiti vanno in questa direzione, insieme ovviamente a interventi solidi per i lavoratori a tempo determinato che perderanno il posto senza paracadute.
Il “non lasceremo nessuno indietro” è una promessa che non può essere elusa e che richiede interventi adeguati, costi quel che costi. La situazione patrimoniale italiana (la pubblica e la privata messe insieme) è tale da rendere improbabile una fuga internazionale dai nostri titoli di Stato.
Naturalmente la barca va se si rema tutti insieme. Lo sciopero proclamato dalla Cgil per il 4 aprile rischia di allontanare ancor di più il principale sindacato italiano da un riformismo adeguato ai tempi.
Ma sono anche le imprese a dover fare l’esame di coscienza. La Federprogetti, che riunisce le grandi società di ingegneria aderenti alla Confindustria, ha calcolato che su tre sole grandi opere (alta velocità Milano-Genova e Milano-Treviglio e il ponte sullo Stretto) sono immediatamente spendibili 3,7 miliardi equivalenti a 100 mila posti di lavoro, fra diretti e indotto. Per sbloccarli è necessario azzerare il contenzioso che da molti anni oppone allo Stato imprese edili che spesso hanno sistemato i bilanci senza muovere un mattone.
È l’ora di chiedere, ma anche l’ora di dare. Da parte di tutti.