di Vittorio Sgarbi
Conosciamo il fastidio con cui il presidente del Consiglio registra i commenti ironici dei giornalisti sulle sue battute, i suoi comportamenti irrituali negli incontri internazionali come il recente G20 di Londra. Berlusconi ha una precisa percezione degli effetti di queste esternazioni, e si compiace del clima di amicizia e di cordialità che riesce a stabilire interpretando il carattere «italiano». Poi legge i giornali e vede trasformate quelle manifestazioni in caricature registrando l’atteggiamento moralistico, perbenistico dei commentatori ipocriti fino a denunciare vergogna e imbarazzo. In realtà indisponibili a atteggiamenti non istituzionali e non convenzionali.
Venendo stravolta la verità, Berlusconi reagisce e non si capacita di tanta perbenistica malevolenza. La sua reazione al moralismo della stampa è apparsa incontenibile dopo l’episodio, negato dalla casa reale inglese, del siparietto con la regina Elisabetta irritata per il «Mr. Obamaaaa» gridato da Berlusconi dalla fila più alta dopo la fotografia di rito.
Immagino il premier sentirsi incompreso e tradito, e stravolto il significato del suo comportamento. Ma è già storia passata, la tragedia dell’Abruzzo ce lo mostra così presente e disponibile in atti e gesti di umana e gentile semplicità da impedire commenti malevoli e cattive interpretazioni della stampa sempre pronta a osservare supposte gaffe e battute giudicate improprie e inopportune.
Perfino l’insidioso e iper critico Franceschini, che aveva annunciato l’inevitabile inizio del ciclo della decadenza, s’è complimentato con Berlusconi, ha apprezzato la sua rinuncia a importanti sipari internazionali per calcare quello della disperazione e della sofferenza.
E oggi, infatti, Berlusconi, in occasione dei funerali, tornerà per la terza volta nell’unico luogo dove ha senso sentire la passione di Cristocomeunmomento di sofferenza e di dolore. Non c’è altra Pasqua che in Abruzzo. E Berlusconi arriva, parla con la gente, carezza e abbraccia anziani e bambini, persone dolenti, poveri cristi. Tenta anche battute, garantisce che «non lasceremo solo nessuno». Gira fra le rovine e organizza i soccorsi. Garantisce, anche fisicamente, l’intervento dello Stato. Intuisce che non c’è altro luogo per governare che questo.
L’esperienza diretta gli serve a proporre soluzioni pratiche. L’idea dei cento cantieri da affidare alle cento province italiane. La necessità di restituire dignità a chi ha perso il lavoro, l’attenzione per i monumenti feriti, e la difficile soluzione per la ricostruzione dei piccoli centri storici abbandonati. Berlusconi osserva: «È molto peggio di come avevo immaginato vedendo i luoghi alla tv. Ed è peggio rispetto anche a quello che si vede dall’elicottero: sono distrutte non solo le case vecchiemaanche quelle nuove».
E ancora continuando il sopralluogo nel centro storico dell’Aquila, si interroga sulle insidiose «lesioni a forma di ics». Gli esperti la chiamano «croce di Sant’Andrea». E l’ingegnere dei vigili del fuoco Alessandro Pugliano spiega a Berlusconi che quella ics «equivale alla condanna a morte dell’edificio». Insomma un Berlusconi che partecipa dei disagi e della disperazione compensandoli con l’immagine di un potere certo e vicino, che vede e non può dimenticare, che chiede e indica soluzioni.
Senso pratico, coscienza della difficoltà della situazione. Ma per questo lo Stato non deve essere un’astrazione e neppure un’incomprensibile espressione di forme e di riti, come si vede nella confusione dei dibattiti in Parlamento.
E così alla sua franchezza di uomo che non si lascia sopraffare dalle forme negli incontri internazionali e allo stesso modo non mostra il volto distante del potere nella calamità, ed è qui fra le rovine, si contrappone il comportamento dei «franchi tiratori» che, compromettendo gli accordi di una consolidata maggioranza, determinano confusione, danno ragione delle critiche dell’opposizione e mostrano della politica gli aspetti che insospettiscono i cittadini, consolidano l’idea della inaffidabilità e del tradimento, e restituiscono in Berlusconi i dubbi e lo scetticismo dei semplici cittadini, ai quali egli è tanto più simile quanto più incomprensibili appaiono i comportamenti infidi dei politici.
Ci sono dunque due volti del potere, due Stati. Il volto vicino, disponibile alla battuta e alla parola di conforto che Berlusconi ha mostrato in questi giorni (anche in questo caso sfiorando la polemica quando ha pensato di scherzare parlando di «un fine settimana in campeggio ») che non può che essere informale, accostante per non essere «di circostanza» e quindi assumendosi anche il rischio della scompostezza; e il volto indistinguibile, nell’ombra di chi non si dichiara e colpisce a tradimento.
Berlusconi non recita, è, e non teme dimettere in mostra entusiasmi, sconforti, limiti. Lo abbiamo visto in questi anni. Alcuni si sono addirittura indignati. Ma oggi, sul campo dei profughi, si intende che quella genuinità, quelle espressioni spontanee giudicate gaffe annunciavano l’umanità della semplicità di questi giorni difficili.
Ancora una volta, come già nel caso di Eluana, Berlusconi ha dato una testimonianza importante, ha dimostrato di preferire la vita alla formache oggi appare ancora più evidente, perché non è una preferenzamauna necessità, una condizione interiore che lo rende così anomalo (e alla fine amato, nonostante imugugni della stampa e la non riuscita denigrazione) fra gli uomini di potere.