di Luciano Lomangino
Il capolavoro che racconta dei 22 mila ufficiali polacchi massacrati nella foresta di Katyn dai sovietici è arrivato finalmente in Italia ma a proiettarlo è solo lo 0,18% delle sale
Ho avuto la fortuna di vedere Katyn lunedì sera a Santo Spirito, seduto in fondo alla sala del cinema Piccolo letteralmente gremita. La proiezione è stata voluta dal Centro culturale di Bari e prima che il mio amico Alessandro Crispino mi girasse una mail di uno degli organizzatori, io, come molti, non ne avevo mai sentito parlare.
Katyn è un film del 2007 del regista polacco Andrzej Wajda che racconta uno degli episodi più nascosti ed efferati della Seconda Guerra Mondiale: l'eccidio della foresta di Katyn. Siamo nel 1939 e la Polonia viene invasa ad ovest dalla Germania nazista e ad est dall'Unione Sovietica. Dopo la firma del patto tra Ribentropp e Molotov sulla spartizione del bottino, i Sovietici decidono di eliminare circa 22 mila prigionieri polacchi. Sono i quadri dell'esercito, ufficiali, diplomanti, laureati, la classe dirigente di un popolo cattolico e lontano dal marxismo-leninismo. Vengono portati dal campo di prigionia di Kozielsk alla foresta di Katyn, dove sono freddati con un colpo alla nuca e tumulati in fosse comuni. L'ordine arriva direttamente da Stalin.
Alla scoperta del massacro nel 1943, la propaganda del regime comunista sovietico accusa i tedeschi di averlo compiuto e, nonostante la verità affiori già al processo di Norimberga, dell'eccidio di Katyn non si parlerà più fino alla caduta del muro di Berlino.
Il film è basato su un racconto corale i cui protagonisti sono gli ufficiali uccisi e la loro profonda dignità, il dolore e lo smarrimento delle loro donne e di commilitoni sopravvissuti, il popolo polacco che dopo essere stato dilaniato dalla guerra deve scegliere se soccombere ai propri carnefici o ribellarsi ad essi. Wajda ricostruisce i fatti con un taglio asciutto e mai retorico così lontano dalle stucchevoli visioni oleografiche a cui tanta fiction ci ha abituato. I dieci minuti finali sono struggenti: con fredda efficienza burocratica gli ufficiali polacchi vengono uccisi uno dopo l'altro, quelli ancora vivi trafitti con la baionetta prima che la ruspa ricopra i corpi di terra. Il sommesso Padre nostro si spegne nello schermo buio e nell'Agnus Dei di Penderecki.
La pellicola, dedicata al padre del regista morto nel massacro, si basa su una rigorosa ricostruzione documentale durata anni. Nel 2008 è arrivata anche la candidatura all'Oscar come miglior film straniero. A detta unanime della critica, Katyn è il miglior film dell'ottantareenne Wajda, che di regie alle spalle ne ha oltre quaranta, e di sicuro è un capolavoro. Eppure a proiettarlo in Italia è solo lo 0,18% delle sale esclusi i cinema parrocchiali e simili, secondo il Giornale, ad averlo visto saremo stati poco più di 20 mila. Di Katyn la stampa praticamente non parla, non se ne occupa la politica. All'estero le cose non vanno meglio: Wajda intervistato da Tempi, uno dei pochissimi giornali che si sono occupati del film, afferma che, nonostante il grande successo di Katyn nel suo Paese, la tv di Stato polacca che ne detiene i diritti, ne impedisce una circolazione dignitosa considerandolo un film scomodo, molti distributori lo hanno acquistato per non farlo vedere. Nonostante un tribunale di Mosca si sia recentemente pronunciato per la riapertura dell'inchiesta sull'eccidio di Katyn chiusa nel 2004, il film in Russia non si può proiettare.
Per quanto ci riguarda, Mario Mazzarotto, amministratore unico della casa indipendente Movimento Film che detiene i diritti di Katyn per l'Italia, parla a Stefano Lorenzetto del Giornale di un clima surreale che circonda questo film. Innanzitutto ci sono voluti due anni per portarlo da noi, dopo essere stato rifiutato alla Mostra del Cinema di Venezia, gli sono stati preclusi i due terzi delle sale più importanti con la giustificazione, da parte di Circuito Cinema (la società che raggruppa vari proprietari che fanno capo alle più importanti case di produzione e distribuzione), che il momento per l'uscita nelle sale non era propizio, troppi film in giro. Ora Medusa si occuperà dell'uscita del Dvd per il noleggio privato, la Rai lo trasmetterà, non può farlo prima di due anni dall'uscita, ma è chiaro Katyn è oggetto di un vero e proprio boicottaggio, un boicottaggio la cui ragione si può riassumere in quattro parole: egemonia culturale della sinistra.
Giampaolo Pansa sul Riformista ha definito Katyn un'opera «bellissima e straziante» aggiungendo che «La sinistra non vuole la verità su quanto è avvenuto sino al 1948. Non la vuole perché la “sua” verità, gonfia di menzogne, l’ha già imposta in tutte le sedi: la cultura, la ricerca storica, i testi scolastici, il cinema». Dal canto suo Mazzarotto parla di una sinistra in rigoroso silenzio e di una sua lettera indirizzata al segretario del Pd a cui Franceschini non ha mai risposto.
L'eccidio di Katyn pare sia dunque un argomento che è meglio continuare a tenere nascosto, forse perché sono ancora vivi gli echi della storia del professor Vincenzo Palmieri. Il direttore dell'Istituto di medicina legale dell'Università di Napoli che negli anni '50 fu costretto a lasciare la sua cattedra a seguito del feroce linciaggio subito da parte dell'Unità e del Partito comunista italiano per aver firmato, per conto della Croce rossa internazionale, la relazione nella quale si affermava che gli ufficiali polacchi delle fosse comuni di Katyn erano stati massacrati dai sovietici. La carriera di Palmieri fu stroncata perché aveva affermato la verità contro la menzogna comunista.
La vicenda del boicottaggio del capolavoro di Andrzej Wajda è la riprova che in Europa e in Italia, al di là delle abiure più o meno convinte, c'è ancora molta strada da fare perché si parli apertamente degli orrori del comunismo reale e perché la memoria di quegli orrori diventi patrimonio di tutti. Katyn è un film che contribuisce in maniera mirabile alla costruzione di quella memoria che parte dalla foresta vicino a Smolensk e arriva fino alle foibe ma che, in ogni caso, resta ancora troppo spesso misconosciuta, troppo spesso nascosta.
.............Quella dell'eccidio di Katyn, è una delle tante prove di quanti delitti si siano macchiati i comunisti, ovunque essi abbiano esercitato il potere. Delitti per i quali nessuno ha pagato, delitti che sono rimasti impuniti, delitti che spesso, come nel caso degli ufficiali polacchi ammazzati come cani per decimare l'esercito polacco, si è tentato di attribuire ad altri. La mostruosa macchina propagandistica del regime sovietico, cui facevano da supporto gli utili idoti sparsi nel mondo occidentale, sono riusciti èper mezzo secolo a tenere nascosta una verità che era ben nota a tutti. E ancor oggi, sebbene il comunismo sia finito ovunque, nella polvere e nella miseria, c'è ancora qualcuno che tenta di nascxonderne gli orrendi crimini. Ma la storia non può essere a lungo fermata e così la verità. E la verità alla fine ha trionfato. E i veri assassini sono stati smascherati anche se purtrioppo non hanno pagato per i loro delitti.