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 C'E' UN'ALTRA CASTA: I MANAGER Data: 24/04/2009
Appertiene alla sezione: [ Opinione ]
L’editoriale di Maurizio Belpietro

In questi giorni mi è capitato sotto mano un vecchio ritaglio della Repubblica. Si tratta di un articolo di un paio d’anni fa, dedicato a Carlo Puri Negri, che fino all’altro ieri era il vicepresidente della Pirelli Real estate, società immobiliare del gruppo della gomma. L’incipit del pezzo è esaltante: “Carlo Puri Negri ha il merito di impersonare un caso che non è così frequente nel mondo dell’industria e della finanza. Quello di un manager che, dopo aver mosso i primi passi nelle più varie direzioni, scopre poi una vocazione precisa, e in essa si dimostra fantasioso e innovativo, e in grado di produrre valore”. Mi fermo qui, anche se il testo prosegue con altre deliziate immagini.
Che razza di valore fosse in grado di produrre l’erede della dinastia degli pneumatici è noto a tutti. Nel 2008 la Pirelli Re ha perso quasi 200 milioni di euro ed è stata costretta a lanciare un aumento di capitale pari al doppio della perdita. Un disastro, insomma. Tralascio il fatto che due anni fa, quando uscì l’articolo della Repubblica, sul settore immobiliare già s’allungavano le nuvole nere della crisi. Non voglio infierire sull’anonimo redattore: capita a tutti di scrivere stupidaggini. Anche perché il punto non è ciò che è stato detto, semmai quello che si è taciuto. A stupirmi è infatti l’assenza (o quasi) di commenti alla notizia dell’addio dato dal manager alla sua creatura, un abbandono accompagnato da una buonuscita di 14 milioni di euro, nei quali sono compresi quasi 9 milioni e mezzo di indennità per l’anticipata cessazione del mandato e 3 milioni per convincere il manager a non fare concorrenza alla sua ex società.
L’uomo che ha fatto 200 milioni di buco è stato ringraziato con 14 milioni di euro, che vanno ad aggiungersi ai 36 che ha incassato negli ultimi sette anni. E, tranne rare eccezioni, nessuno ha avuto nulla da ridire: i quotidiani hanno dato la notizia nelle pagine economiche, senza commentare, come fosse routine. A me non pare una cosa così ovvia: come si fa a corrispondere una liquidazione da milioni di euro a un manager che ha creato una voragine di debiti e di perdite? Come si fa a invocare il valore e il merito e premiare chi il valore lo ha distrutto e ha solo il merito di essersi costruito un contratto blindato, a prova di licenziamento?
Quello di Puri Negri è un caso clamoroso, ma non il solo. Nelle scorse settimane la Seat Pagine gialle, altra società straindebitata che nel 2008 ha perso 179 milioni di euro, ha gratificato Luca Majocchi, amministratore delegato uscente, con quasi 8 milioni di euro, 5 dei quali a ricompensa del patto di non concorrenza. Oltre al danno, c’è la beffa di dover pagare il manager che viene congedato perché non provochi altri danni.
Non voglio fare il moralista, ma c’è qualcosa di profondamente sbagliato in tutto questo. Per anni ci siamo sbracciati a spiegare a operai e impiegati che il salario non è una variabile indipendente dai risultati di un’azienda. Oggi ci accorgiamo che esiste un’altra variabile indipendente che negli ultimi anni ha consentito a una casta di dirigenti di moltiplicarsi la remunerazione senza tenere in alcun conto il reale andamento dell’impresa. È come se esistesse una scala mobile dei top manager che sale sempre più in alto, senza alcun controllo, né di chi nell’azienda ci lavora, né dei suoi azionisti.
Nel passato ci spiegarono che le public company, ovvero le società senza proprietari di riferimento, erano il futuro, perché liberavano le aziende dai padroni. Non vorremmo che le finte public company italiane si fossero sì liberate dal controllo e dagli interessi dei propri azionisti, ma solo per rimanere prigioniere dei propri manager voraci.

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