di Bruno Vespa
Perché Silvio Berlusconi è più popolare dei suoi principali colleghi europei? L’ultimo numero dell’Economist rileva con molta perplessità che Nicolas Sarkozy nei sondaggi è sotto i sindacati (in genere poco popolari) sebbene i numeri della crisi francese siano migliori, per esempio, di quelli tedeschi. Gordon Brown e Angela Merkel non stanno messi benissimo. Il Cavaliere invece cresce. Più disgrazie gli cadono addosso, più cresce. Possiamo discutere sui numeri dell’indice di gradimento, non sulla sostanza. E la sostanza ci dice che la popolarità di Berlusconi, già alta al momento della vittoria elettorale di un anno fa, è cresciuta con i rifiuti di Napoli, poi con la crisi economica più grave da 80 anni, infine col terremoto dell’Aquila.
Per capire il fenomeno, vale la pena di sfogliare un quotidiano comunista, Il Manifesto. Spiega Ida Dominijanni (14 aprile): “Il terremoto… è stata l’apoteosi della vocazione antipolitica di Berlusconi, del suo antico presentarsi come un politico per caso, in prestito al Palazzo, ma cresciuto fuori del Palazzo, e come un premier per necessità, che per vocazione resta un imprenditore che s’è fatto da solo, che a ciascuno dice di farsi da solo, o nella fattispecie di rifarsi, anche sotto una tenda”.
L’allusione al rifarsi è motivata dal racconto poche righe prima della dentiera fatta avere a tempo di record a una signora che l’aveva persa tra le macerie della propria casa e all’impegno di altre due anziane sfollate di andare dal parrucchiere in cambio di due tailleur nuovi. Come dire: basta un modesto gesto d’attenzione per conquistare una persona per sempre e garantirsi un clamoroso effetto moltiplicatore. “Che può fare una sinistra più agonizzante che malconcia dinanzi a un populismo così spontaneo e naturale?” si chiede Il Manifesto. “Intanto non snobbare il problema, non liquidare il populismo come un sottoprodotto politico necessariamente di destra”. E quant’altro.
Piaccia o non piaccia, Berlusconi è l’uomo del fare. Sbuffa contro le lentezze di un sistema bicamerale perfetto e si rifugia nei decreti legge. Lamenta gli estenuanti dibattiti parlamentari (la democrazia esige le sue piccole noie) e propone di far votare solo i capigruppo. Si sente imbrigliato nei vincoli costituzionali che il presidente della Repubblica (e ora anche quello della Camera) gli ricordano ogni momento e deve abbozzare. Ma appena arriva un’emergenza rinasce. Perché rinasce?
Perché emergenza chiama commissario e il commissario agisce per le vie brevi, saltando le procedure. Guido Bertolaso e Gianni Letta si ammazzano di lavoro, l’uno sul campo, l’altro nelle retrovie di Palazzo Chigi. Ma il commissario ideologico è il Cavaliere. È lui che sfida il destino dicendo che già nel primo autunno, quando a L’Aquila comincia il gran freddo, gli sfollati dormiranno in una casa vera. Come farà, non sappiamo. Ma l’ha promesso e c’è il rischio che ce la faccia.
Quando va a L’Aquila, Berlusconi si siede con gli uomini della Protezione civile e guarda carte, rilievi, progetti. Sa che tra lui e le nuove case non c’è alcun ostacolo se non il tempo. Niente doppie letture parlamentari in commissione e in aula, niente conferenze di servizi, niente rallentamenti burocratici, niente fondi virtuali.
La vita non può scorrere sempre così, Berlusconi ha dimostrato di saperci fare anche con la crisi (il suo consenso non è sceso nemmeno lì). Ma dategli una vecchietta senza denti e un quartiere da ricostruire senza intoppi e lui trionferà.
La sinistra più intelligente l’ha capito e si chiede se anche la politica italiana nel suo complesso non uscirà cambiata dal terremoto dell’Aquila.