L’Italia volta pagina con l’approvazione definitiva del federalismo fiscale da parte del Senato con 154 sì, 87 astenuti e 6 contrari. Clima di festa a Palazzo Madama per il partito di Umberto Bossi, presente in aula circondato dai ministri leghisti e molto applaudito, con tutti i senatori rigorosamente in cravatta verde mentre le senatrici sfoggiavano foulard o vistose spille verdeggianti. Tutti pronti a sventolare fazzoletti verdi al momento del sì. Oggi si parte, ma ci vorranno cinque anni o poco più per l’entrata a pieno regime delle nuove norme che ridisegnano la mappa dei meccanismi delle imposte nel nostro paese, senza perdere di vista però il principio della solidarietà con le autonomie locali più deboli.
Il via libera alla riforma investe anche altri aspetti cruciali che interessano la maggioranza, andando oltre i contenuti stretti del ddl. È lo stesso presidente del Senato, Renato Schifani, a sottolineare prima di tutto come su questo provvedimento si sia riusciti a stabilire un «clima di confronto costruttivo tra maggioranza ed opposizione», che è elemento indispensabile per tutte le riforme di grande respiro e tanto più per un tema come quello del federalismo fiscale «che innoverà la politica degli amministratori e li coinvolgerà con un maggior senso di responsabilità nell’uso delle risorse». Un clima di collaborazione confermato dal sì dell’Italia dei Valori e dalla scelta del Pd che si è astenuto mentre l’Udc ha votato contro.
Alla Lega, dice il ministro per la semplificazione normativa, Roberto Calderoli, «il merito di aver posto il tema del federalismo fiscale, che però oggi è non soltanto del Popolo delle Libertà e direi di tutto il Parlamento che ha risposto in soli sei mesi». Questo per Calderoli è soltanto «un primo passo» poi verranno le altre riforme.
Obbiettivo primario del federalismo è quello di garantire piena autonomia di entrata e di spesa agli enti locali in modo da sostituire, seppure in modo graduale, il criterio della spesa storica con quello dei costi standard per tutti i servizi fondamentali del paese. Dunque il fisco diventerà «su misura» nel rispetto dei principi di capacità contributiva e progressività che sono scritti nella carta costituzionale. Resta fermo il principio di non aumentare la pressione fiscale e al suo fianco quello stabilito con la clausola di salvaguardia: la riforma non può causare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. Che cosa cambia per le Regioni? Le funzioni fondamentali erogate (l’assistenza, la sanità e le spese amministrative che riguardano il comparto dell’istruzione) sono assicurate: attraverso il gettito tributario valutato ad aliquota e base imponibile uniformi; addizionale regionale Irpef; compartecipazione all’Iva; quote di fondo perequativo; Irap ma soltanto in via transitoria in vista di un superamento di questa imposta.
Tra i punti più importanti anche l’istituzione di nove città metropolitane: Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria, per le quali si punta a cancellare le corrispondenti province. Norme ad hoc per Roma capitale: un nuovo ente che sostituirà il Comune. Il consiglio comunale diventa assemblea capitolina e si occuperà di valorizzare beni storici, artistici, ambientali e fluviali oltre che di edilizia pubblica e privata.
Sarà una commissione Bicamerale, composta da 15 deputati e 15 senatori nominati dai presidenti dei due rami del Parlamento ad esprimere un parere sui decreti attuativi. Il governo è tenuto ad emanare al massimo in due anni i decreti attuativi il primo dei quali dovrà riguardare l’armonizzazione dei sistemi di calcolo dei bilanci pubblici.