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 DAL GOVERNO PRODI LOTTIZZATI TUTTI I POSTI CHE CONTANO Data: 07/05/2007
Appertiene alla sezione: [ Politica ]
Con l’incedere pesante di uno schiacciasassi il governo Prodi ha occupato o si appresta ad occupare tutti i posti di potere, spartendoli fra amici e clienti, privilegiando le ascendenze politiche, o le radici bolognesi, o il training nelle aziende dell’Iri. Le spoglie vengono spartite con un metodo che garantisce gli snodi di un potere invasivo, che si tutela nominando in alcune authority le persone “giuste”. Il metodo seguito dal presidente del Consiglio e dai ministri competenti per designare o nominare presidenti, commissari e amministratori delegati suscita perplessità anche a sinistra: Nicola Rossi, il riformista eretico che ha lasciato i Ds qualche mese fa, ha osservato che in qualche caso “le competenze specifiche e tecniche dei candidati non sono sufficienti”.

La nuova mappa del potere.

All’Antitrust s’insedia Piero Barocci, ex ministro del Tesoro nel governo Amato, politicamente nell’area della Margherita. Nello stesso organismo c’è l’ex commissario Consob, Carla Rabitti Bedogni.

La Consob è stata sistemata su diretta indicazione di Romano Prodi ed è diventata una succursale della scuola economica bolognese. Vi si insediano, infatti, l’economista bolognese Michele Pezzinga, già della Caboto-Intesa, Luca Enriques, docente di diritto commerciale a Bologna, e Vittorio Conti, ex Banca Intesa, un istituto bancario con cui Palazzo Chigi ha il filo diretto.

All’Anas c’è un presidente, Piero Ciucci, che viene dall’Iri, ma il ministro Di Pietro è riuscito a piazzare due dei suoi, Sergio Scicchitano ed Enrico Della Gatta.

Per le nomine di competenza del ministro Padoa Schioppa sono stati privilegiati esponenti dei Ds e della Margherita, quindi alcuni dirigenti del Tesoro e docenti già consulenti dei governi di centrosinistra. E’ il caso della Cassa Depositi e Prestiti, col presidente Alfonso Iozzo di area Ds, vice presidente il ds Franco Bassanini e con l’ex senatore della Margherita Renato Cambursano, Gianfranco Imperatori, ex presidente della Banca Roma International, i docenti-consulenti Luisa Torchia e Gianfranco Viesti, il dirigente del Tesoro Vittorio Grilli.
Alle Ferrovie dello Stato presidente è Innocenzo Cipolletta, già direttore generale di Confindustria; nel consiglio di amministrazione figurano anche Mauro Moretti, ds, e Paolo Baratta, già ministro nei governi Amato, Ciampi e Dini.

I Ds sono stati privilegiati nelle Attività Portuali: Francesco Palmiro Damiani a Bari, Claudio Bonicelli a Trieste, Roberto Piccini a Livorno; Taranto è andata a Michele Conte del Pdci, Brindisi a Giuseppe Giurgola, area Ulivo.

Anche per gli enti cinematografici la spartizione è stata puntuale: all’Istituto Luce l’ex senatore Ds Stefano Passigli, a Filmitalia Irene Bignardi, area Ds, a Cinecittà Holding Alessandro Battisti, della Margherita.

Filippo Andreatta, docente di diritto internazionale e figlio dello scomparso Beniamino Andreatta, entra nel consiglio di amministrazione di Finmeccanica.

All’Agenzia delle Entrate c’è Massimo Romano, considerato vicino al viceministro Visco, l’uomo delle tasse.
Siccome il governo del Professore non intende farsi mancare nulla, all’Istituto Italiano della Montagna s’insedia come commissario Luigi Olivieri.


E Rifondazione minaccia rappresaglie

Nell’Unione si è aperta una polemica feroce per l’assegnazione dei posti di potere e di sottogoverno. I rifondatori del comunismo sono stati esclusi dalla lottizzazione e minacciano ritorsioni contro il governo.

Le poltrone importanti, dicono gli esponenti del Prc, sono state assegnate a esponenti e fedelissimi del Partito Democratico che, pur essendo stato concepito da pochissimo tempo, rivela l’appetito di un adulto vorace. Naturalmente i vertici del partito che fu di Bertinotti sollevano, per pudicizia, una nuova “questione morale”, ma per loro l’esclusione dalla lottizzazione è bruciante: le parole sono elevate, ma la questione è sordida.

“Nomine a senso unico – ha denunciato il segretario Franco Giordano – tutte fatte ad uso e consumo del nuovo Partito Democratico”.

Giordano ha lamentato il fatto che gli esponenti del Prc non siano stati nemmeno consultati prima che Palazzo Chigi, il Ministero dell’Economia e dei Beni culturali formulassero scelte e designazioni. E il segretario non è disposto a ingoiare il rospo, ha annunciato che il suo partito “voterà contro il governo e nelle commissioni a tutte le nomine avanzate senza una discussione politica di settore condotta in modo collegiale”. Questa linea dura è condivisa dal ministro Paolo Ferrero: “Se non siamo buoni per discutere – ha affermato l’esponente di Rifondazione – non siamo neanche buoni per votare”.

Il caso che ha esacerbato gli animi dei rifondaroli è quello delle Ferrovie, per il cui consiglio d’amministrazione Prc aveva candidato Paolo Baghetta, ex ferroviere. Il quale ha tuonato: “Il consiglio è troppo sbilanciato a destra.

Il primo (Cipolletta) è uomo di Confindustria, il secondo (Mauro Moretti) è un ds con un lungo passato nel gruppo, e quindi non è nemmeno esente da una certa quota di responsabilità, il terzo (Clemente Carta) è addirittura un consigliere Udc”.

Le parole fanno formalmente riferimento a valutazioni politiche, ma la lite riguarda il retrobottega, il sottogoverno.

L’esecutivo di Romano Prodi è stato caratterizzato sin dalla sua nascita dal contrasto sordo fra la sinistra radicale e i cosiddetti riformisti che hanno generato in provetta il Pd.


Lo scontro ideologico è stato finora superato grazie al collante del potere, ma è doveroso chiedersi: uno scontro di mero potere potrà essere composto? Il Pdci di Diliberto qualcosa ha avuto, Rifondazione si sente esclusa dal banchetto. Prodi non ha motivo di dormire tranquillo.

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