La rimozione del generale della Guardia di Finanza, secondo un modo strano di procedere, va considerata non legittima.
È d’uopo partire dalla distinzione che si fa in diritto pubblico fra atto politico e atto di amministrazione. L’atto politico è quello che viene enunciato nettamente nell’articolo 31 del testo unico del Consiglio di Stato, esiste un elenco numerus clausus ben delineato. Ad esempio, lo scioglimento delle camere da parte del Presidente della Repubblica o la sua elezione e via discorrendo. Sono atti sottratti al sindacato alla giurisdizione in quanto prettamente di carattere politicio. Ma, punto da rammentare, fra questi non rientra la nomina e la revoca del comandante della Guardia di Finanza. Il punto normativo è abbastanza chiaro.
In questa distinzione, poco percepibile alla gente comune, ma semplice per gli addetti ai lavori sta l’errore clamoroso del governo di centro sinistra. La rimozione del generale della GdF è stata ritenuta un atto politico mentre sarebbe un atto di alta amministrazione. Da ciò si deduce che, trattandosi di un atto che esprime l’esercizio di un potere amministrativo, al contrario degli atti politici, è soggetto alla impugnativa dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale. Questa rimozione, a mio parere, andava fatta attenendosi alla legge n. 241 del 1990 inerente “Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 18 agosto 1990, n. 192”. Non a caso, in questa categoria vengono incluse le nomine dei prefetti, del capo di stato maggiore della Difesa, dell’avvocato generale dello Stato. Ma ecco il nodo cruciale:ogni atto di alta amministrazione, dove ricade senza alcun dubbio il caso in specie, vanno trattati nel rispetto del principio del contraddittorio.
L’articolo 3, al paragrafo 1, della legge citata, sottolinea che “Ogni provvedimento amministrativo, compresi quelli concernenti l'organizzazione amministrativa, lo svolgimento dei pubblici concorsi ed il personale, deve essere motivato, salvo che nelle ipotesi previste dal comma 2. La motivazione deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell'amministrazione, in relazione alle risultanze dell'istruttoria”. Ciò sta ad indicare che il comandante della GdF è stato destituito non rispettando i passaggi formali e legali che la normativa chiede in questi casi.
Senza una istruttoria si è voluto costruire un edificio senza le fondamenta. È d’uopo che vi sono delle fasi da seguire in modo obbligatorio come l’iniziativa, l’istruttoria, costitutiva e integrativa, le prime tre sono non eliminabili.
Una ulteriore falla concerne il ruolo che ha il Presidente della Repubblica, il quale si è astenuto dall’assumersi ogni responsabilità in merito alla vicenda Visco-Speciale. Ebbene, il decreto di rimozione del comandante della GdF è presente nella categoria degli atti complessi. Le volontà, in questa vicenda, non si intersecano come nel contratto, ma si uniscono nel formare un atto omogeneo. Il caso di scuola è quello del decreto del Presidente della Repubblica controfirmato dai ministri. Il Capo dello Stato Napoletano non doveva solo prendere atto, ma la sua volontà era decisiva per la scelta. La firma del Presidente in questi casi si ingloba nell’ambito di un controllo di legittimità formale e sostanziale.
A favore del generale della GdF cacciato, su questo punto, vi è l’articolo 87 paragrafo 7 che enuncia: “ può nominare, nei casi indicati dalla legge, i funzionari dello Stato”, tra cui rientra senza dubbio l’ex comandante della GdF.
Si può concludere che è stato camuffato da provvedimento di revoca quella che è, infatti, una sanzione disciplinare, saltando le garanzie di un procedimento. GIUSEPPE PACCIONE