L’inchiesta giudiziaria sul “comitato d’affari” della Basilicata travolge anche Filippo Bubbico, un autorevole esponente diesse, già presidente della giunta regionale lucana, oggi sottosegretario allo Sviluppo economico e Fassino sembra acquisire una nuova coscienza sul rischio che la “cattiva giustizia” possa interferire sui fatti politici. “E’ grave prima del voto”, dice. E “una perquisizione fatta a 48 ore da un ballottaggio così delicato come a Matera (dove Bubbico è candidato n.d.r.)” costringe il segretario dei diesse a rivedere la sua fiducia nell’operato della magistratura, a considerare sulla propria pelle quella giustizia ad orologeria che per tanti anni ha condizionato la vita politica e istituzionale.
Da convinti e tenaci garantisti, siamo lieti di annoverare nelle nostre schiere anche Fassino e C., ma vogliamo richiamare alla memoria il suo comportamento quando l’orologio del tribunale di Milano che ticchettava nel taschino di Saverio Borrelli suonò mentre a Napoli era in corso il G8 presieduto da Berlusconi. All’epoca il Cavaliere, neo presidente del consiglio, subì, e con lui il Paese, l’umiliazione di un avviso di garanzia consegnato davanti ai leader del mondo.
In quell’occasione, le grida di allarme per una giustizia politicizzata non vennero raccolte perché colpivano il nemico da abbattere, l’uomo che – con la sua discesa in campo – aveva impedito alla gioiosa macchina da guerra della sinistra di vincere le elezioni.
Oggi l’indignazione di quella stessa sinistra è forte solo perché viene toccato uno di loro. E Fassino diventa double face: quando le inchieste riguardano Berlusconi o comunque il centrodestra, bacchetta chi critica la magistratura accusandolo di delegittimarla, oggi la sua critica è sacrosanta. Perché gli ex comunisti rimangono i migliori. Sono “intoccabili”.
Ma a Fassino va ricordato che uno stato di diritto non vuole una giustizia politicizzata ad orologeria così come non vuole politici garantisti a “giorni alterni”.