Tommaso Padoa Schioppa doveva essere il “fiore all’occhiello” di questo governo. Ma da tempo chiude la graduatoria dei ministri più popolari ed il suo ruolo è sempre più quello di “ventriloquo” di Romano Prodi (come scrive il Financial Times). Criticato in Europa e nel mondo, il ministro dell’Economia è sempre più indifendibile: vera zavorra del governo.
Ormai, il suo comportamento è al limite della decenza. Sulla Rai, per esempio. Licenzia (o prova a farlo) il consigliere d’amministrazione Angelo Maria Petroni. Ed il Tar non solo blocca l’assemblea della Rai che lo avrebbe dovuto rimuovere, ma giudica anche l’azione del ministro non valida. Di fronte al Parlamento sostiene le sue ragioni, senza argomentarle e tantomeno risponde a chi gli fa osservare che le sue azioni sono illegittime, come poi dimostrato dal Tribunale amministrativo.
E cosa dire del suo comportamento sul caso Speciale? Prima gli chiede le dimissioni, senza ottenerle. Poi, nel Consiglio dei Ministri che nomina il nuovo Comandante generale della Guardia di Finanza avalla il trasferimento di Roberto Speciale alla Corte dei Conti, per confessare subito dopo che non è stata sua l’idea. Al Senato butta fango sull’alto ufficiale, lo accusa di “slealtà” alle istituzioni (roba da corte marziale) e firma un decreto di nomina pasticciato, che la Corte dei Conti critica, ma accetta con riserva.
Oggi, alla cerimonia di insediamento di D’Arrigo, Padoa Schioppa rinnega se stesso e arriva a sostenere che “eventi recenti a tutti noti hanno coinvolto uomini e relazioni fiduciarie istituzionali, portando ad un confronto politico che ha raggiunto un’asprezza di toni inusitata e ha indotto il governo a decidere un cambiamento di linea e di responsabilità nel comando del corpo”. Sparite le accuse a Speciale, spuntano motivi di rapporti fiduciari tra governo e Fiamme Gialle. Come dire: Prodi e compagni vogliono un amico al vertice della Guardia di Finanza.
E sui conti pubblici? Presenta una finanziaria che, per sua stessa ammissione, è rappresentata per i due terzi da maggiori entrate. Più tardi dice che gli italiani hanno pagato troppe tasse, che c’è un tesoretto da distribuire. Ma non dice a quanto ammonta: forse 2,5, forse 4 miliardi. E quando sta per distribuirlo, si ferma e lo riduce perché “la spesa è fuori controllo”. E invece di restituire il maggior gettito a chi lo ha pagato, cioè i singoli contribuenti, promette di girarlo alle imprese, perché altrimenti Bruxelles gli blocca il cuneo fiscale. Oppure lo dirotta su Anas ed Fs. Ma non aveva fatto un decreto nel luglio dello scorso anno per riaprire i cantieri, accusando il governo Berlusconi di aver tagliato i fondi alle infrastrutture? Se vuole dare il tesoretto ad Anas ed Fs vuol dire che anche lui ha ridotto i fondi per gli investimenti.
E sulle pensioni? Prima dice che non vuole toccare lo scalone della riforma Maroni-Tremonti. Poi dice che la spesa previdenziale “è sotto controllo”, e che lo scalone si può eliminare. Tace quando il collega del Lavoro, il diessino Damiano, dice che per recuperare le risorse ed abolire lo scalone si possono fondere i tre enti previdenziali. E tace al mondo la lettera ricevuta dalla Ragioneria generale dello Stato che blocca l’operazione.
L’Italia, un paese fra i più industrializzati al mondo, un paese G7, non si merita un ministro come Tommaso Padoa Schioppa.