I numeri sono crudeli. Ilvo Diamanti è forse l’analista politico più ascoltato nel centrosinistra, considerato a lungo assai vicino all’Ulivo prodiano. La sua paginata di ieri su Repubblica, dunque, suona come un cupo de profundis per il governo in carica, che «in un anno ha dimezzato la fiducia», precipitando dal 59,1% del luglio 2006 al 26,3% di oggi.
Ma il sondaggio di Gfk-Eurisko, realizzato tra il 25 e il 27 giugno scorsi (ossia nei giorni clou della scesa in campo di Walter Veltroni, che proprio il 27 giugno ha debuttato da leader al Lingotto di Torino) suona anche come una doccia fredda su quelle attese «miracolistiche» dalle quali un grande vecchio della sinistra come Emanuele Macaluso metteva in guardia. Già, perché se quel sondaggio sostiene che il sindaco di Roma potrebbe battere in un duello diretto gran parte degli avversari del centrodestra (vincerebbe 43,6% a 39,5% con Silvio Berlusconi, 39,9% a 37,8% con Pier Ferdinando Casini, 50% a 25% con Letizia Moratti e solo con Gianfranco Fini perderebbe 37,9% a 44,5%), Diamanti avverte che l’appeal personale non basta affatto: «Personalmente è l’unico a godere di un consenso elettorale pari al Cavaliere, ma l’Unione resta lontana dalla Cdl». Il gap da recuperare è enorme: undici punti di differenza, 55% a 44%: «Tre punti in più di due mesi fa». E la brutta notizia è che anche il Partito democratico continua a scendere nelle preferenze: «È calato di 4 punti, si è ridotto al 24%», penalizzato dalla scissione a sinistra dei Ds e trascinato a fondo dai litigi interni e dal trend agonizzante del governo, che «gode di una sfiducia ampia e trasversale», constata Diamanti: «Mai, da cinque anni a questa parte, il consenso per il governo era sceso tanto in basso».
Quei sondaggi squillanti che nei giorni scorsi rilevavano un effetto-Walter di almeno 10 punti, proiettando il Pd verso la vetta del 35%, vengono bocciati da Diamanti: «Non misurano il presente, ma ipotecano il futuro». Un futuro tutto in salita, per Veltroni: se davvero vuole avere speranze e «voltare pagina», è lo spietato consiglio del politologo, deve fare subito piazza pulita nel centrosinistra, «abbandonare questo gruppo dirigente da cui egli stesso proviene». Un consiglio che potrebbe piacere assai a Prodi, non fosse che per un particolare: il primo da abbandonare rischia di essere proprio lui, che raccoglie il 2,9% delle preferenze come leader del Pd (contro il 61,3% di Walter) e che con Berlusconi perderebbe peggio di tutti (29% a 46%). Se nell’Ulivo le quotazioni di Veltroni sono ai massimi, nella sinistra dell’Unione è iniziata platealmente la presa di distanza. Ieri il manifesto lo irrideva in copertina mettendolo fianco a fianco con l’odiato Almunia: «Uniti nella lotta». Le prese di posizioni riformiste del sindaco di Roma su pensioni e legge elettorale vengono bollate come di destra: «Più Sarkozy che Zapatero», condanna il manifesto. Liberazione, il quotidiano del Prc, titolava a tutta pagina sul duello a distanza tra Bertinotti e Veltroni. E con un commento in prima pagina di Lea Melandri, lo bocciava anche sul fronte della parità sessuale: «troppo paternalista», con il sospetto che voglia «tenere a bada le donne». Inquietano le parole di Veltroni sulla riforma elettorale e sulle future alleanze se essa cambiasse: «Oggi la coalizione è questa, domani si vedrà». Anche se in realtà, per l’oggi, il Walter «di destra» va benissimo a Bertinotti & Co.: più si rafforza l’identità moderata del Pd, più prende forza il progetto di unificare la sinistra in una futura «Cosa rossa».