Qualcuno lo tiene in ostaggio laggiù in fondo alle Filippine, sull’isola di Mindanao, terra di sangue e di impegno della Chiesa cattolica. L’hanno preso appena finito di celebrare la Messa, padre Giancarlo Bossi, missionario del Pime nella provincia di Zamboanga Sibugay.
Era il 10 giugno e da allora è sparito nel nulla. Anche i guerriglieri del Fronte Moro, che combattono contro il Governo centrale di Manila, rivendicando un’impossibile indipendenza per l’isola più meridionale delle Filippine, hanno detto di non sapere nulla del missionario. Ma lì operano diversi gruppi ribelli e poi ci sono banditi e pirati che assaltano le navi nelle rotte degli stretti e hanno basi sulle coste.
Sono tre settimane ormai che si rincorrono false notizie, una messa in scena, per alzare il prezzo politico, e forse, economico del riscatto.
Ma laggiù è quasi la fine del mondo. E poi padre Giancarlo Bossi è un missionario, uno che, nella logica perversa dell’oblio dei mass media, aveva messo in conto il martirio. Il silenzio è totale sulla sua sorte in questa Italia, che s’è appassionata ad altri sequestri a diverse latitudini. Non c’è stata alcuna riunione del Governo per padre Giancarlo. Non c’è stato un sottosegretario alla Presidenza del Consiglio che ha convocato un vertice segreto.
Il sottosegretario si chiama Enrico Letta ed è nipote di un altro sottosegretario, Gianni, che s’era dannato per i ragazzi che vendevano servizi in armi, rapiti nell’Irak del dopo Saddam Hussein, per le due Simone, per Giuliana Sgrena, giornalista del Manifesto, liberata dal capo dei nostri 007, Nicola Calipari, poi ammazzato dagli americani sulla via verso l’aeroporto di Baghdad.
Non si è mossa la Croce rossa, non si è fatto sentire Scelli, l’ex capo dell’ente umanitario, che ha sempre buoni consigli da offrire, né Gino Strada, né qualche altro guru con i contatti giusti. Invece si son mosse polemiche e allora il Governo ha deciso di «accogliere la disponibilità del sottosegretario agli Esteri Margherita Boniver di recarsi nelle Filippine». Come fosse un’azione di volontariato. Dopo tutto, le Filippine e la guerra dimenticata di Mindanao hanno rilevanza geopolitica pari a zero.
E poi quel Giancarlo Bossi è un prete. Quasi che la Chiesa ci sia abituata alle persecuzioni. Diventano martiri, vanno in paradiso. Perché mobilitare servizi segreti e spendere denaro per ottenere la loro liberazione? Perché cercare di capire cosa sta accadendo in una provincia lontana persa nel Mar della Cina? Ci sono solo due grandi foto che ricordano il rapimento. Una l’ha messa il sindaco Walter Veltroni sul Campidoglio a Roma. L’altra l’ha appesa don Luigi Ciotti sul palazzo torinese del Gruppo Abele. Poca cosa, pochissima.
Neppure nel suo paese natale, Abbiategrasso, in provincia di Milano, hanno attaccato una foto di padre Giancarlo Bossi al municipio.
Ma che faceva padre Giancarlo? Ha costruito una chiesa sulla roccia, letteralmente. Aveva comprato la roccia laggiù a Mindanao con l’accordo di tutti, musulmani e cattolici. L’aveva un po’ spianata e poi con le assi di legno ha costruito una chiesa di fronte al mare.
Lo raccontano i suoi amici, che hanno aperto un blog sul sito del Pime, la congregazione dei missionari delle Pontificie missioni estere: www.pime.org.
Tipo tosto, padre Giancarlo. Aiutava la gente con il Vangelo sotto braccio. Troppo per l’entusiasmo di D’Alema, che in occasione del sequestro di Daniele Mastrogiacomo ha messo in pista il migliore mediatore sulla piazza afghana? Troppo per i grandi giornali?
I missionari comboniani di Nigrizia hanno ricordato che quando i talebani presero l’inviato di Repubblica il Paese rischiò «l’infarto collettivo» e che allora «ogni italiano si sentiva in dovere di fare la sua fiaccolata».
I missionari, si sa, lavorano in silenzio. Li ammazzano e nessun presidente dà loro una medaglia.
Non ne hanno bisogno. Ma forse ne abbiamo bisogno noi, per ricordare che andare in giro a raccontare il Vangelo non è un sopruso. E per convincerci che se uno ci va di mezzo è uno di noi, cittadino d’Italia, fratello nostro.
...da Famiglia Cristiana n.28/07