Il disegno di legge sulla libertà religiosa ha compiuto mercoledì un passo avanti sotto il profilo dell'iter parlamentare. Ma a detta dei tecnici del diritto (si veda ad esempio l'intervista qui a fianco) anche parecchi passi indietro per quanto riguarda i contenuti e la formulazione. Suscitano, infatti, notevoli perplessità sia l'impianto complessivo sia alcune specifiche disposizioni in odore di incostituzionalità. Il testo, intitolato "Norme sulla libertà religiosa e abrogazione della legislazione sui culti ammessi", è stato approvato due giorni fa in Commissione Affari costituzionale alla Camera, secondo la stesura unificata, predisposta da Roberto Zaccaria (Margherita). Ma anziché migliorare l'impostazione e i contenuti dei precedenti ddl, sembra in alcuni aspetti aggravare i difetti di quei testi.
Già il loro impianto complessivo risaliva all'inizio degli anni '90 e appariva quindi "datato" rispetto ai mutamenti intervenuti nel frattempo. All'epoca, infatti, si voleva evitare il continuo ricorso alle intese, regolamentando la materia attraverso una sorta di legge quadro. Di intese con le singole confessioni religiose, però, nell'arco dell'ultimo quindicennio, ne sono state firmate diverse. E lo strumento si è rivelato duttile quanto basta per rispondere all'esigenza del necessario confronto tra l'ordinamento statale e le regole particolari dei gruppi religiosi (onde verificarne anche la compatibilità rispetto alle norme di ordine pubblico e buon costume).
Il ddl predisposto da Zaccaria arriva, dunque, non solo tardi, ma aggrava questo difetto di fondo, prevedendo alcune norme di dubbia costituzionalità. Si veda l'articolo 3 dove si specifica che «nessuno può essere sottoposto a discriminazioni, distinzioni, restrizioni o preferenze fondate su motivi di ordine religioso, né nei giuridici rapporti tra privati, né in quelli tra privati e la pubblica amministrazione».
Gli esperti di diritto costituzionale rilevano a tal proposito che questa disposizion e potrebbe essere lesiva della stessa libertà religiosa. Ad esempio essa finirebbe per vietare che nelle scuole e nelle Università private (giuridico rapporto tra privati), si possano scegliere gli insegnanti secondo la loro appartenenza confessionale.
Ma l'aspetto che suscita maggiori perplessità è quello di fondo. Potrebbe configurarsi, infatti, una violazione dell'articolo 8, terzo comma della Costituzione, con il quale si stabilisce che i rapporti tra lo Stato e le confessioni religiose siano regolati dalla legge sulla base delle intese con le relative rappresentanze.
La Costituzione non impone un'uguaglianza di trattamento per le confessioni, limitandosi a garantire uguale libertà. Ed è proprio per questo che l'articolo 8 già citato sceglie la strada delle soluzioni differenziate. In altri termini le discipline relative alle diverse confessioni non vanno definite unilateralmente e in modo indifferenziato, ma vanno "pesate" e concordate di volta in volta con le rappresentanze delle singole confessioni, tenendo conto anche delle specificità di ognuno. Altrimenti si può giungere (così come stabilisce il ddl unificato) a prevedere che ogni confessione abbia diritto allo stesso tempo di trasmissione nel servizio radiotelevisivo pubblico, o a riconoscere come validi tout court tutti i matrimoni celebrati con qualsiasi rito religioso. E ciò indipendentemente dalla storia, dal radicamento territoriale e dal "peso specifico" delle singole confessioni.
Sicuramente, anche alla luce delle numerose intese firmate negli ultimi tempi, occorre rivedere l'impostazione di fondo dell'intervento legislativo. Sarebbe certamente più utile una legge con pochi principi e una buona regolamentazione delle procedure per arrivare alle singole intese.