In questo Paese il mestiere meno conveniente è quello del poliziotto. Si guadagna poco e si rischia troppo. Prendiamo, per esempio, la pagina di un giornale in un giorno qualsiasi, poniamo il 5 luglio 2007. La cronaca riporta di un carabiniere di trentasette anni, padre di due bimbe, ucciso a Roma nell’auto di servizio speronata da un pregiudicato. Più sotto, un altro carabiniere, ventidue anni appena, a Verona. Stessa dinamica: un’auto cerca di investire lui e il suo collega. Ma questa volta non è il carabiniere a morire, bensì l’aggressore, una cinquantenne che viene colpita dal fuoco del militare. Adesso il giovane carabiniere è accusato di omicidio volontario. Proprio così: volontario. La legge è legge. Non è finita: a Cremona si svolgono i funerali di quattro ragazzi uccisi dall’auto di un albanese ubriaco. Quattro. L’uomo, che era appena stato cacciato da un night per avere scatenato una rissa, si era messo al volante in stato di ebbrezza alcolica, era partito a razzo, aveva invaso l’altra corsia, schiantato la macchina dei quattro. Indagato per omicidio colposo, il giudice non ha ritenuto necessario chiederne il fermo, neanche l’obbligo di firma o di dimora. Così, quello semplicemente se ne è andato. Se non è un clandestino (il giornale non lo dice), magari non si eclisserà e sconterà la sua pena. Tutti i dubbi, gli abitanti di questo Paese, ormai li hanno sulla pena medesima. Siamo forcaioli se temiamo che, di galera, non farà neanche un giorno? E che pochi ne farà l’uccisore del carabiniere di Roma? Mentre il carabiniere di Verona, comunque vada, avrà la vita «rovinata», come dice un suo collega? I carabinieri, infatti, è meglio che si facciano ammazzare, così avranno il cordoglio del presidente e applausi alla bara. Altrimenti fanno la fine di Placanica.
Con la classe politica e la magistratura che corrono c’è da chiedersi cosa attiri, oggi come oggi, un giovane verso la divisa dei corpi di polizia. La gente chiede più sicurezza, più poliziotti, più rigore, più certezza della pena. E invece ottiene l’esatto contrario. Anzi, se si lamenta troppo, ci sta che si senta sbattere in faccia la distinzione tra il pericolo «effettivo» e quello «percepito», come se gli italiani fossero diventati, di colpo e in massa, degli ansiosi «immaginari» alla Molière. Per fortuna il nuovo capo della polizia, Manganelli, ha almeno preso atto che il Nord del Paese è realmente assediato dalla criminalità comune (di cui sono gli immigrati ad aver larghissima parte, anche se è politicamente scorretto dirlo). Alle amministrative il Nord, infatti, le ha cantate all’attuale maggioranza. Ma come si fa a cantarle a certa magistratura?
Bella domanda. Intanto, un buon segnale sarebbe affollare le messe liberalizzate in latino per cantarle a certo clero, quello col «perdono» facile. Sì, perché la messa in latino è molto di più che una forma diversa di liturgia: è un sonoro «basta!» al buonismo, all’«accoglienza», alla «solidarietà» con cui una minoranza che si crede più buona di Gesù ha costretto un intero popolo a vivere nella paura. Tasse e paura, ecco la ricetta delle sinistre, siano politiche che clericali.
I giornali ormai hanno adottato il box preconfezionato per la «nera»: ieri tot stupri, tot rapine, tot omicidi. Il divario tra la «casta» dei privilegiati e il resto del popolo bue non potrebbe essere meglio dipinto. È vero, è questione di «percezione».