Il piano segreto sulla Guardia di finanza, descritto dal colonnello della Gdf Riccardo Rapanotti a verbale, era una partita a scacchi da giocare in più mosse. Rapanotti né conosce né indica l’ultima. Sa, come anticipato dal Giornale, che esistono tre fasi, la prima con l’immediato ricambio dell’intera gerarchia su Milano, la seconda con la scelta di nuovi comandanti interregionali da decidere con l’accordo del viceministro Vincenzo Visco. La fase tre, invece, secondo quanto sostengono più fonti contattate dal Giornale, prevedeva direttamente il ricambio del comandante generale. Con il nuovo governo, Roberto Speciale sarebbe stato sostituito prima ad interim dal suo vice, Italo Pappa. Lo stesso che tra l’altro incontra Visco il 13 luglio e ne raccoglie i desiderata sul ricambio milanese.
Sempre Pappa, fatta la legge che consente agli appartenenti alla Gdf di ricoprire l’incarico più alto, avrebbe ricevuto conferma nel ruolo, prorogando la sua permanenza di due anni oltre l’età pensionabile. Un po’ come il generale Rolando Mosca Moschini, che oggi è addirittura al sesto anno di proroga oltre l’età massima, grazie al meccanismo della chiamata personale. Lo stesso Pappa, proseguono le fonti, in quei mesi annunciò a diverse persone che quasi sicuramente sarebbe diventato comandante generale, confidandosi sugli avvicendamenti da avviarsi.
Partito quindi nel luglio scorso con l’immediato obiettivo di azzerare la gerarchia in Lombardia, il piano segreto non solo comprendeva comandi nevralgici sparsi in tutto il Paese - stando almeno a quanto affermato ai Pm da alcuni testi -, ma doveva coinvolgere anche il numero uno. Su di lui iniziarono a grandinare malignità, comode per accelerare la destituzione da parte dell’autorità politica e favorire l’avvicendamento. Ma il meccanismo si ruppe. I trasferimenti vennero stoppati dalle note polemiche su Milano. Questa chiave di lettura permette di chiedersi perché Pappa fu il primo ad essere convocato da Visco e perché il suo atteggiamento nei rapporti con l’autorità politica fu ritenuto talmente grave che Speciale lo evidenziò alla procura militare perché ne valutasse l’eventuale rilievo. È il procuratore Antonino Intelisano che deciderà sugli atteggiamenti attribuiti a Pappa e al generale Sergio Favaro. Quest’ultimo, tra l’altro, comandò a Rapanotti di preparare il ricambio a Milano dicendogli di non informare il superiore diretto, Michele Adinolfi. Pappa è generale di ampie relazioni politiche e militari. A iniziare da quella con il consigliere militare del Quirinale, Rolando Mosca Moschini. Un rapporto che si era concretizzato già a fine anni ’90 quando Pappa era comandante regionale in Piemonte mentre Mosca Moschini venne scelto alla guida delle Fiamme Gialle. Il rapporto superò persino momenti difficili ed episodi non chiariti. Uno vale la pena raccontare. Nel marzo del 2000 il successore di Pappa alla Regione Piemonte, l’allora generale di Brigata Mario Iannelli, decide di vederci chiaro su una verifica da poco compiuta e conclusa senza particolari rilievi quando era al comando ancora il suo predecessore Pappa. La verifica riguarda l’Olivetti di Carlo De Benedetti, editore de La Repubblica. Ebbene, Iannelli chiede, in forza del suo potere ispettivo, i fascicoli della verifica per controllarli. Visto che, tra l’altro, il maggiore che l’ha eseguita si è congedato poco dopo. Ma Iannelli quegli atti mai è riuscito a leggerli. Dopo nemmeno una settimana riceve un fonogramma urgente dal comando generale: Mosca Moschini lo rimuove dall’incarico con effetto immediato. Trasferito a Roma. Senza motivazione. Ai generali, di prassi, viene concesso qualche mese per il trasloco. A lui poche ore. Come mai? Per due anni Iannelli rimane al comando generale. Senza fare nulla. Seppur non sia sotto indagine né sotto accertamento disciplinare.