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 LE 7 MERAVIGLIE SENZA I CRISTIANI Data: 10/07/2007
Appertiene alla sezione: [ Il commento del giorno ]
Le 7 meraviglie senza i cristiani

di Vittorio Sgarbi

Con estremo candore il grande regista russo Alexander Sokurov ha indicato i limiti e il fallimento delle Avanguardie. Nessuna polemica. Una constatazione, confermata dalla nuova lista delle sette meraviglie del mondo. Nuova? Vi sono il Taj Mahal in India, la Grande Muraglia cinese, il Machu Picchu in Perù, Petra, il Colosseo, le Piramidi. Ci sono, non c'erano. E la meraviglia è nella loro resistenza al tempo. Non nella novità delle tecnologie (non è stata salvata neppure la Tour Eiffel). Infatti, osserva Sokurov: Dostoevskij è. Chopin è. Rembrandt è. Non sono stati, sono. L'arte è sempre contemporanea, non si può essere più moderni. Per quanto straordinario, Picasso non cancella Raffaello. Così come ogni artista d'avanguardia, che pensa di cambiare il mondo, semplicemente si aggiunge al mondo. Non toglie nulla al passato, lo integra, lo aumenta. L'uomo non cambia e noi abbiamo una conoscenza limitata delle cose. L'arte è un modo di comprensione del mondo. La vita e il potere passano, gli scrittori restano, anche per chi verrà dopo di noi e dopo di loro.
La dimensione atemporale, intuita da Croce e da Borges, dell'Arte ci fa contemporanei Saffo e Shakespeare, Catullo e Baudelaire. L'artista convive con gli altri artisti. Turner con Picasso. E Turner non è meno moderno di Picasso. È questo l'Assoluto. Sto scrivendo mentre appare davanti a me un incredibile spot televisivo, ben fatto peraltro, in cui valori e simboli dell'umanità, che appartengono a tutti, da Toscanini a Papa Wojtyla, dal Presidente della Repubblica a Umberto Veronesi, sono proposti per concludere che, come loro, «la Fiat appartiene a tutti noi». È sconcertante. Non c'è limite alla spudoratezza. È lecito usare Papa Giovanni Paolo II per vendere la Cinquecento? Esempio di impareggiabile relativismo.
Torniamo agli assoluti. In perfetta corrispondenza con le conversazione di Sokurov, il Papa ha restituito alla Chiesa il latino. Sembra incredibile, ma era proibito. La Messa in latino poteva essere celebrata soltanto con una particolare concessione vescovile, su esplicita richiesta. A tanto è potuto arrivare il dogmatismo populista. È formidabile questo Papa, per quanto è naturalmente estraneo ai luoghi comuni. Con le prescrizioni del Concilio Vaticano Secondo veniva fatta passare per modernizzazione una censura, per liberalizzazione una restrizione. Per andare verso il popolo, bisogna dimenticare il latino e parlare italiano. Si è obbligati a farsi capire. Dimenticando che la funzione religiosa deve conservare una dimensione imperscrutabile, lontana, diversa dalla quotidianità. E per questo il latino era perfetto: certe formule, espresse in italiano, sono senza senso, banali, perdono la forza misteriosa che avevano in latino. Scendono da una dimensione assoluta, senza tempo, a una dimensione quotidiana, temporale. La messa in italiano avrebbe dovuto integrare, non escludere quella in latino. È proprio questo che, dopo anni di oscurantismo, di finta modernizzazione, ha affermato il Papa. E, per fortuna, le affermazioni del Papa diventano prescrizioni. Semplicemente, anche dopo la riforma del Concilio, il rito antico non è mai stato abrogato, non c'è contraddizione tra i due messali (lo prova la deroga concessa ad alcuni sacerdoti per le loro funzioni), e bisogna giungere a una riconciliazione interna nel seno della Chiesa. Non ci potevano essere considerazioni più pertinenti nel giorno in cui il Colosseo entra nelle sette meraviglie del mondo. Se il Colosseo è contemporaneo, perché non deve esserlo il latino, la lingua di Orazio, di Ovidio, di Tacito, di Sant'Agostino, di Petrarca, tutti, come intende Sokurov, nostri contemporanei? Si può proibire una lingua, considerandola morta, quando è viva nella poesia? È morto il Colosseo perché non viene più usato dai gladiatori? Per il Colosseo ci sono i turisti, per la messa in latino ci sono i fedeli. Non vi è alcun ritorno indietro, ma semplicemente, in corrispondenza con le idee espresse da Sokurov, un atteggiamento culturalmente consapevole. Vi è anche un vantaggio, purtroppo tardivo: il rito latino avrebbe risparmiato a tante chiese nella retorica della partecipazione alla messa con il sacerdote rivolto ai fedeli, la distruzione di altari e presbiteri per posizionare la nuova mensa. Come si è dimenticato, la messa in latino prevede il sacerdote di spalle davanti all'altare, non pastore di un gregge, ma fedele con i fedeli, rivolti a Dio. Non occorre smontare altari, non occorre fingere un dialogo figurativo, occorre pregare, il sacerdote con gli altri devoti, tutti davanti a Dio, nella stessa direzione. Benedetto Benedetto XVI, anche se è troppo tardi, grazie al suo «motu proprio» qualche chiesa potrà essere risparmiata dal vandalismo di architetti scriteriati e di vescovi troppo zelanti. Il latino salverà le chiese se non la Chiesa.

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