Ieri, i telegiornali hanno mostrato una inedita accoppiata: Fini e Di Pietro, insieme a raccogliere firme per il referendum elettorale e hanno trasmesso le loro dichiarazioni. Da una parte Di Pietro che concionava contro "le interdizioni" dei piccoli partiti, dimentico di esser lui uno dei piccoli partiti - personali - che di interdizione ne fa una al giorno. Del resto è lo stesso Di Pietro che dimentico di aver martellato l'Ulivo perchè "oggi purtroppo anche nel centro sinistra ci si è adeguati alla pratica immorale del nepotismio e del favoritismo", è stato pescato con le mani nella marmellata (frase storica di Fini) a favorire il figlio Cristiano per una casa della CARIPLO a due passi da piazza Duomo a Milano affittata a prezzi assai modesti, poi per il suo trasferiento dal Nord a Vasto, dove l'organico della polizia era al completo e infine per averlo candidato ed eletto consigliere provinciale a Campobasso e infine al consiglio comunale di Montenero di Bisaccia. Complimenti. E complimenti anche a Fini che avendo accanto questo fior di coerenza, contestato per la storia del trasferimento del figlio a Vasto da Maurizio Gasparri che non è proprio uno sconosciuto in AN, ha trovato il modo di attaccare Berlusconi che non essendo d'accordo con il referendum deve dire, ha detto, Fini, che cosa vuole. Forse Fini poteva evitarsela questa domanda perchè molti potrebbero rivolgere a lui, che nel 1993, all'epoca del primo referendum elettorale di Segni, fu accanitamente contrario a quel referendum e ll'ipotesi del maggioritario insieme a Rifondazione Comunista, perchè mai abbia cambiato idea. Legittimo per lui cambiare idea, un pò meno mettersi sottobraccio a Di Pietro combinando sinanco un intergruppo parlamentare per studiare con Di Pietro (con Di Pietro?!) le problematiche del apese, ma è altrettanto legititmo per Berlusconi pensarla diversamente e magari all'occorenza cambiare idea. Nell'interesse suo e del suo partito? Come Fini, appunto.