Una controriforma che è un imbroglio, ma soprattutto una controriforma che aveva un unico obiettivo: tenere insieme e in sella il governo. Per una volta che ha cercato un punto di equilibrio che non apparisse una resa totale alla sinistra radicale, l’apprendista stregone Prodi rischia di mancarlo.
I comunisti non nascondono la delusione, i soliti due (Turigliatto e Cannavò) annunciano che faranno mancare i voti al Senato, la Fiom di Cremaschi si dissocia. Vedremo come andrà a finire.
Quel che appare per ora assordante, è il silenzio dei cosiddetti riformisti dell’Unione. Se ci siete battete un colpo.
Alla luce di un accordo che apre una voragine nei conti previdenziali, che ipoteca il futuro dei giovani, che ci allontana dall’Europa, che non ha coperture certe, che fatalmente scaricherà gli oneri (10 miliardi a salire) sulla fiscalità generale, ci aspettiamo che i tanti “grilli parlanti” del giorno prima traggano le loro conclusioni anche il giorno dopo. I Dini, i Treu, le Bonino e tanti altri: dimostrino se sono pseudoriformisti o riformisti, se sono “uomini o caporali”.
Se raccoglieranno l’alibi offerto dalla sinistra radicale, che fa fuoco e fiamme (vedremo se è solo fumo), oppure se intendono tenere le posizioni. Se cederanno le armi e perderanno la faccia, sull’altare di un accordo che “serve unicamente ad evitare la crisi di governo” (Tito Boeri sulla Stampa). Quello escogitato da Prodi e dai sindacati è un papocchio e un imbroglio, non ha neppure la dignità di una “controriforma”. E’ dal 1992 che, con governi differenti e tra mille difficoltà, i punti fermi del riordino della previdenza sono stati due: mantenere il sistema in equilibrio, per garantire prestazioni adeguate e proporzionali ai versamenti individuali; tenere la crescita pensionistica all’interno di quella del Pil. Da Amato, passando per Treu, Dini, fino a Maroni.
Per questo ci attendiamo che i cosiddetti riformisti battano un colpo. L’accordo di questa notte capovolge il lavoro di 15 anni, non mina soltanto la Maroni. Il Dini che ha varato la riforma del 1996 è in linea con un accordo che scardina alle fondamenta il suo impianto basato sul metodo contributivo? E’ d’accordo con il rinvio, demandato alle calende greche (la solita “commissione”), della revisione dei coefficienti? E’ contento del fatto che chi lodava la sua riforma (vedi Fassino) ora si allinea a quanti la demoliscono? Alle parole di ieri faccia seguire i fatti. E così la Bonino, e così tutti gli altri. Almeno per non perdere la faccia.