Prima è stato PRODI a chiamare telefonicamente D'Alema e Fassino per esternare loro la sua solidarietà per il loro coinmvolgimento nell'affaire Unipol e al centro del clamore per la richiesta del gip di Milano al Parlamento per ottenere l'autorizzazione all'uso delle itnercettazioni di alcuni parlamentaricoimvolti nella vicenda. Prodi, questa volta per nulla sensibile alla vecchia parola d'ordine - lasciar lavorare la Magistratura - che tanto bene funzionò all'epoca di Tangentopoli è entrato come suol dirsi a gamba tesa con una solidarietà che suona come disconoscimento della Magistratura. Non saremo noi, che siamo garantisti, a dolerci del fatto che nessuno è co,pevole sino a quabndo non si pronuncia la Magistratura, ma non possinmao dimenti9care che una intera classe dirigente, tra il 1992 e il 1994, fu distrutta da fatti ben meno clamorosi dell'affiaire UNIPOL e che allora bastava un semplice sospetto perchè fior di galantuomini finissero nelle patrie galere dopo aver dato le dimissioni sull'onmda delle tante "ricamatrici" (il nome francese ci sfugge!) che come all'epoca della rivoluzione francese con il solo segno della testa dedidevano se una testa dovesse rimanere attaccata al collo o rotolare sotto la mannaia della ghigliottina. Pensiamo che Prodi piuttosto che spargere solidarietà che forse nkin siono neppure sentite, avesse auspicato invece che la MAGISTRATURA accerti i fatti e nel frattempo che lor signori, D'Alema e Fassino e tutti gli8 altri coinvolti, si astengano dal parteciapore alla vita pubblica. Ciò vuol dire che debbono dimettersi? Facciano loro. Nè è condivisibile l'intervento del Capo dekllo Stato per la cui figura istituzionale nutriamo ogni possibile rispetto: ma l'invito a calmare "i biollenti spiriti2 arriva intempestivo e forse inopportuno. In tempi in cui si chiuede e si auspica la moralizzazione della politica come condizione per la ripresa del PAESE a nessuno, nemmeno al Capo dello Stato, è consentito di entrare in vicende che se vere sono di una gravità inaudita.