di Mario Cervi -
L’uragano Clementina scuote i palazzi della politica. Li scuote a tal punto che nel palazzo più autorevole, il Quirinale, s'è ravvisata la necessità d'un intervento. Pur non avendo riferimenti specifici e nominativi al caso Forleo, esso era facilmente collegabile a quel caso. E infatti da tutti è stato collegato. Il gip milanese Clementina Forleo - questo l'antefatto - ha chiesto al Parlamento di poter utilizzare le intercettazioni telefoniche sulle scalate bancarie riguardanti tre deputati - tra loro Fassino e D'Alema - e tre senatori. Nella sua ordinanza la signora ha avanzato l'ipotesi che i parlamentari fossero consapevolmente «complici di un disegno criminoso». Donde l'ira Di Fassino e D'Alema, nonché degli altri onorevoli coinvolti: e un susseguirsi di prese di posizione - pro o contro la Forleo - in cui sono tornati gli argomenti d'obbligo nelle polemiche sulla giustizia.
Questo era scontato. Meno scontato era che dicesse la sua anche il capo dello Stato. Il quale, trovandosi nella sede del Csm - il «palazzo dei marescialli» - per la nomina di Vincenzo Carbone a primo presidente della Cassazione, ha voluto «lanciare un richiamo alla massima responsabilità e riservatezza nello svolgimento di tutte le funzioni proprie dell'autorità giudiziaria»; e in particolare un richiamo «a non inserire in atti processuali valutazioni e riferimenti non pertinenti e chiaramente eccedenti rispetto alle finalità dei provvedimenti».
Nulla da eccepire. Se non fosse che abbiamo assistito al massacro di questi principi e al trionfo dei processi mediatici, con i magistrati divi e i pool posti sugli altari: e inoltre alla sfacciata e mirata propalazione degli avvisi di garanzia e d'altre notizie, se infangavano personaggi «eccellenti». A chi criticava la magistratura per questi sconfinamenti dall'ambito dei suoi poteri e per l'arroganza con cui erano perpetrati si rispondeva che era bene così, che il cittadino doveva essere informato sulle malefatte della classe dirigente. Addebitate, le malefatte, o ai partiti governativi o al centrodestra di Berlusconi.
Ma adesso uomini il cui schieramento si distinse in quegli anni per furia forcaiola sono messi nei guai, e allora i Violante, i D'Ambrosio e compagnia lamentano la spregiudicatezza con cui gli sfoghi telefonici sono stati messi in piazza (solo Antonio Di Pietro e Furio Colombo, cui va riconosciuta coerenza, non rinnegano le loro passate pulsioni giustizialiste). Può darsi che Clementina Forleo - imprevedibile e ingovernabile, come s'è visto - abbia usato termini impropri, nella motivazione della sua ordinanza. Prima di lei l'hanno fatto - mossi, loro, da faziosità politica, e senza attirarsi rampogne - innumerevoli suoi colleghi. Con tutto il rispetto e la stima per Gorgio Napolitano, oso definire non pertinente, o almeno eccedente, la sua bacchettata: non ad ignoti ma a una nota, Clementina Forleo.