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 MEGLIO IIZIARE DALLE TASSE Data: 09/09/2007
Appertiene alla sezione: [ Politica ]
di Francesco Giavazzi, - ARTICOLO PUBBLICATO OGGI DAL cORRIERE DELLA SERA E FIRAMTO DA UNO DEI MIGLIORI ANALISTI ECONOMICI ITALIANI.

Il Libro Verde sulla spesa pubblica che il ministro dell’Economia ha presentato nei giorni scorsi contiene analisi utili, ma anche due omissioni significative e forse non casuali. Il fatto che la nostra spesa pubblica — nonostante sia una delle più elevate al mondo — sia fra quelle che meno contribuiscono ad alleviare le condizioni dei più deboli è ricordato nella premessa, ma è un tema sul quale il lungo documento non ritorna più. E quando il Libro Verde affronta il problema centrale del perché sia tanto difficile ridurre e rendere più efficiente la spesa, la risposta è ovvia ma disarmante: «L’innegabile volontà di abbassare le tasse e le spese si scontra con la forte carica inerziale dei diritti acquisiti ». A ben pensarci queste omissioni non sono sorprendenti.
Nel nostro Paese la spesa pubblica non è lo strumento che lo Stato usa nell'interesse generale per proteggere i più deboli e i meno fortunati e per facilitare le riforme, ad esempio compensando chi è temporaneamente danneggiato da una nuova legge. La spesa è il risultato della concertazione tra lo Stato e alcuni gruppi bene organizzati, in primis sindacati e imprenditori. L'interesse generale, le ragioni dei poveri, dei precari, dei giovani non sono rappresentate al tavolo intorno al quale si concerta tutta la spesa soprattutto quella relativa al welfare.
La recente decisione di abbassare l’età minima per poter andare in pensione con 35 anni di contributi offre un esempio illuminante. I cinquantenni con contratti di lavoro a tempo indeterminato che beneficeranno della nuova legge non sono ricchi, spesso svolgono mansioni faticose, ma non sono neppure i cittadini più deboli. E tuttavia i dieci miliardi di euro di cui il governo disponeva li spenderà per loro non per le famiglie con più figli e un solo genitore, non per i precari (anzi è tassando i precari che si è trovata una parte di quei dieci miliardi), non per introdurre un sistema di sussidi di disoccupazione generalizzati, che esistono in tutti i Paesi civili tranne che in Italia.
Costruire un’efficiente rete di protezione sociale non è, o non solo, pietà cristiana. È condizione necessaria per poter riformare il mercato del lavoro. I Paesi, ad esempio la Danimarca, nei quali vi è libertà di licenziamento — e proprio per questo le imprese assumono senza problemi e la disoccupazione è bassa — sono anche quelli nei quali i sussidi di disoccupazione sono più generosi. Perdere il lavoro è possibile, ma non è un dramma. Una recente inchiesta chiedeva: «Dove vorresti abitare se perdessi il lavoro? ». A Copenaghen è la risposta. E poiché la disoccupazione è bassa, i sussidi, pur generosi, non costano molto allo Stato.
Ma al tavolo della concertazione questi argomenti non arrivano. I sindacati — comprensibilmente dal loro punto di vista — difendono i loro iscritti che un lavoro ce l’hanno e a tempo indeterminato. Per costoro il licenziamento individuale, quello per il quale servirebbe un moderno sistema di sussidi, è un evento praticamente impossibile e quindi nessuno è interessato a chiederlo. Se un’impresa è in difficoltà — magari proprio perché i licenziamenti individuali sono impossibili— meglio negoziare direttamente con il governo casse integrazioni ad hoc, un sistema cui spesso non hanno accesso i lavoratori non protetti dal sindacato. Ma questi sono tabù che il Libro Verde si guarda bene dall’affrontare.
Della concertazione beneficiano anche le imprese che continuano a ricevere dallo Stato contributi pari all’1 per cento del Pil, equamente divisi tra imprese pubbliche e private. È quindi evidente che nella discussione se sia meglio prima ridurre le spese o prima tagliare le tasse ha ragione chi ritiene che si debba iniziare dalle tasse. Consideriamo ciò che è accaduto quest'anno.
La Legge finanziaria prevedeva un gettito fiscale pari a 715 miliardi di euro: per mantenere il disavanzo entro il 2,1 per cento del Pil (32 miliardi) la finanziaria impose alle spese (al netto degli interessi) un tetto di 673 miliardi. Poi, come è noto, le entrate fiscali esplosero: 720 miliardi già ad agosto; a fine anno potrebbero raggiungere i 730 corrispondenti a una pressione fiscale che sale di 1 punto oltre il 42,6 per cento previsto. Che ha fatto il governo di queste risorse inaspettate? Avendo deciso di non tagliare le tasse, le ha portate al tavolo della concertazione dal quale non è uscito un nuovo sistema di sussidi di disoccupazione, ma un aumento delle pensioni minime che, guarda caso, aiuta soprattutto le famiglie dei lavoratori tipicamente iscritti ai sindacati, non le famiglie più povere. Lo stesso sta per ripetersi con la prossima Legge finanziaria.
Il Dpef prevede un gettito nel 2008 pari a 743 miliardi. In realtà tutti sanno che se, come è probabile, l’aumento delle entrate non si rivelerà transitorio, il gettito 2008 potrebbe raggiungere i 760-765 miliardi, cioè 17-23 miliardi più di quanto previsto nel Dpef e corrispondenti a una pressione fiscale del 44 per cento, la più alta da molti anni. Che farne? Io penso che se il governo non ha il coraggio di usare queste risorse per varare una riforma davvero incisiva del welfare e dei contratti di lavoro (ad esempio introducendo come si sta cercando di fare in Francia un contratto unico) allora meglio tagliare subito le tasse concentrando i vantaggi sui più deboli. Sprecare 20 miliardi per scongiurare uno sciopero generale e durare qualche mese in più sarebbe davvero irresponsabile.

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