Finite le vacanze, gli italiani cominciano a constatare che i rincari di beni e servizi geleranno i consumi e renderanno ancor più difficili le condizioni delle fasce più deboli della popolazione.
Due fenomeni concorrono a far impennare i prezzi: da una parte, gli aumenti delle tariffe, soprattutto per energia e trasporti; dall’altra, i rincari di beni di prima necessità, a cominciare da grano e latte, rincari che comportano prezzi più alti per i cibi che quotidianamente finiscono sulle nostre tavole, dal pane alla pasta, a formaggi, alla carne.
Gli affaticati propagandisti del governo e della maggioranza si preoccupano già di diffondere alcune leggende secondo le quali gli aumenti sono il frutto della congiuntura internazionale. Mettono in campo l’aumento del prezzo del petrolio e cercano di far credere che i rincari dei prodotti dell’agricoltura siano dovuti soprattutto al fatto che, in molte aree coltivabili del mondo, è aumentata la produzione di piante destinate a trasformarsi in biocarburanti ed è diminuita la produzione di cereali e foraggio. Insomma, la colpa della gelata italiana sarebbe da attribuire alle variazioni del mercato globale.
Ma questo sforzo propagandistico non regge all’analisi dei fatti. Il sistema produttivo e distributivo italiano è in grado di assorbire e contenere le variazioni dei mercati internazionali, ma la verità è che la pressione fiscale elevatissima che caratterizza il nostro Paese moltiplica e aggrava ogni piccolo rincaro delle materie prime.
E’ indicativa l’elevata tassazione che grava sui carburanti. Benzina e gasolio costano più che in qualsiasi Paese europeo, non si può evitare che questo infelice privilegio si rifletta su tutta la filiera della produzione e dei prezzi. La mancanza di un adeguato piano energetico, poi, fa sì che per le industrie e per le imprese del commercio e dei servizi il costo dell’elettricità sia più alto che negli altri Paesi dell’Ue.
Ma l’elevata pressione fiscale, superiore al tollerabile, è essa stessa un fattore di aumento dei prezzi. Le imprese italiane, grandi, medie e piccole, sono costrette a scaricare sui propri listini almeno parte dei maggiore oneri creati dall’ultima finanziaria. Le gabelle e i balzelli si sommano, le aziende, specie quelle artigiane e commerciali, annaspano e non sono assolutamente in condizione di perseguire politiche espansive e di promozione per sostenere i consumi delle famiglie.
E’ soltanto il governo di Romano Prodi il primo responsabile della gelata dei consumi: la congiuntura internazionale è soltanto una cortina fumogena dietro la quale l’esecutivo cerca di nascondere le sue responsabilità. Sin dalla nascita questo governo, condizionato dalla sinistra massimalista, ha avuto un atteggiamento punitivo nei confronti del mondo produttivo.
Questa impostazione ideologica si è tradotta in un disinteresse di fatto, ad esempio, per i problemi dell’agricoltura italiana. Non un progetto, non uno schema di agevolazioni e di incentivi che, infine, si sarebbero tradotti in migliori condizioni di acquisto per i consumatori italiani e in maggiori opportunità di esportazione.
L’andamento dei prezzi sui mercati internazionali era ampiamente prevedibile e previsto; altri governi hanno predisposto sgravi e interventi per sostenere il rispettivo sistema-Paese, da noi il governo del Professore si consuma nelle risse casalinghe e nell’incapacità totale di assumere qualsiasi decisione che possa risultare utile per l’Italia.
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