Ci sono almeno tre buoni motivi per aspirare legittimamente a una poltrona ben remunerata e partecipare con qualche speranza alla grande lotteria delle nomine del premiato “poltronificio Prodi”: aver contribuito con il premier al disastro dell’Iri, essere transitati almeno una volta dalle parti di Bologna, aver subito una sonora trombatura elettorale. A queste condizioni almeno uno strapuntino, se non una comoda poltrona, è garantita per chi voglia (e chi non vuole?) partecipare della grande abbuffata alla ricca tavola imbandita dal governo dell’Unione.
La nomina dell’inossidabile Fabiani, che i paleontologi ricordano essere stato nel Pleistocene instancabile mediatore tra il segretario Dc De Mita e il presidente dell’Iri Prodi, è soltanto l’ultima perla inanellata dal premier. Le cronache ci rammentano che al professore resta soltanto il rammarico, al quale porrà al più presto rimedio, di non avere ancora piazzato l’ultimo dei suoi fedelissimi rimasto a digiuno, Alessandro Ovi.
“Si prendono tutto, con una spartizione senza precedenti”. Chi l’ha detto? Gennaro Migliore, di Rifondazione, all’indomani dell’ultima infornata di nomine all’Enav, alle autorità portuali, all’Anas, alla Cassa Depositi e Prestiti. E se lo dicono loro.
Era cominciata come era cominciata. Con Massimo D’Alema che, all’indomani della risicata vittoria elettorale, con la sua aria da maestrino leggeva a Porta a Porta la tesi numero nove del programma: “Ridurre ministri e ministeri”.
Risultato: la “carica dei 102”, record mondiale assoluto di affollamento governativo.
Poi l’assalto alle istituzioni: due comunisti alla Camera e al Quirinale, Marini presidente con i voti dei senatori a vita. Strada facendo, l’azzeramento dei vertici dei servizi senza un minimo di condivisione delle scelte con l’opposizione, e il vergognoso siluramento del generale della Finanza Speciale, colpevole di aver messo il naso nello scandalo Unipol.
Infine, l’assalto all’arma bianca a tutti gli enti e a tutte le posizioni di sottogoverno. Ecco spuntare così tutti i vecchi amici di Prodi all’Iri: Maurizio Prato all’Alitalia, l’ex direttore generale dell’Iri Ciucci all’Anas, Nicolò Piazza a Sviluppo Italia, Dominedò alla Patrimonio spa.
Non poteva mancare una “spruzzatina” di bolognesi (ad esempio alla Consob) e di “figli di”: primo fra tutti Filippo Andreatta, nel cda di Finmeccanica.
Gli alleati di Prodi non si sono fatti mancare nulla:
* Pecoraro Scanio ha firmato una raffica di decreti di nomina alla presidenza dei parchi, non dimenticando Leo Autelitano, segretario dei verdi trombato alle elezioni in Calabria;
* Rutelli si è appropriato del cinema, con nomine a Cinecittà, all’Istituto Luce, a Filmitalia;
* Di Pietro ha sistemato anche il suo avvocato personale, Sergio Scicchitano;
* il viceministro De Piccoli si è occupato delle autorità portuali di Bari, Trieste e Livorno, ma scalpita per sistemare un altro autorevole trombato, l’ex sindaco di Civitavecchia, Tidei.
Tra i grandi enti, le Poste sono già nel mirino. Purtroppo per Prodi Enel, Eni e Finmeccanica sono quotate in Borsa e dovrà aspettare le assemblee societarie del 2008. Ma non vede l’ora di arraffare anche queste: per Finmeccanica scalpita Zappa che, chi l’avrebbe mai detto, lavorava con il premier all’Iri.
L’unico colpo che non gli riuscito del tutto: la direzione generale della Rai, dove pure c’è un certo Cappon, che l’Iri ce l’ha nel sangue per paternità e per averci lavorato.
Prodi avrebbe voluto Perricone, che è andato alla Rcs. Ma il premier è stato ampiamente risarcito: è un settimanale rizzoliano Oggi, il cui direttore ha acquistato a peso d’oro le foto di Sircana e le ha tenute sapientemente sottochiave. Favori che non si dimenticano.
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