Veltroni, a Padova per un convegno su fisco e sviluppo, ha sciorinato il suo libro dei sogni: "In Italia - ha detto - non servono mille parlamentari e nemmeno sono utili due Camere che fanno la stessa cosa. Ma soprattutto un governo deve sapere se una sua legge passa o non passa in 30 giorni. Il Parlamento può dire sì o no, ma deve dirlo". Con piglio simil-decisionista, il segretario in pectore del Partito democratico ha fissato le priorità per innovare il sistema istituzionale italiano finendo però per dire una serie di banalità del tipo: abbiamo bisogno di una democrazia che decida.
Il sindaco di Roma, insomma, ha scoperto solo ora che la crisi italiana deriva dal fatto che il nostro sistema è costruito sulla base del predominio del veto, visto che ci sono partiti che vivono sulla dimensione del poter dire ‘no’.
La ricetta? Eccola: "Basta governi composti da dodici partiti. I cittadini scelgano un esecutivo sulla base di un programma coeso, come accade nei Comuni".
Veltroni, evidentemente, stava parlando dei guai della sinistra, che per conquistare il potere ha messo insieme un’alleanza-spezzatino palesemente incapace di governare. Ma la soluzione individuata - ritorno al maggioritario e drastica semplificazione del quadro politico - è di fatto una mina accesa sotto questo governo che vive grazie al sostegno di almeno sette partiti i quali praticano costantemente un diritto di veto che ha portato l’Italia alla paralisi.
Dunque, i buoni propositi di Veltroni non sono altro che pura propaganda, perché nel momento in cui dovesse metterli in atto, l’Unione si sfalderebbe all’istante. Ma l’altra pagina del libro dei sogni veltroniano sfogliata a Padova è, se possibile, ancora più irrealistica: il sindaco di Roma ha infatti duramente criticato il modo in cui si approva oggi la Finanziaria, con una sorta di assalto alla diligenza.
E’ necessario, dunque, per l’atto più importante del governo, individuare "un percorso virtuoso: basta con le Finanziarie in cui ognuno mette l’emendamento del collegio suo. Ma non è neanche possibile che in presenza dei Sioux che tirano le frecce, si metta la fiducia".
E allora? "Il governo presenta un testo di Finanziaria alle Camere, che lo discutono in commissione, lo emenda in tempi stabiliti, in modo tale che quel testo vada al voto del Parlamento, e questo decida con un sì o un no".
Proposta che riecheggia da decenni nelle aule parlamentari e che non è mai passata proprio a causa di quei "veti" di cui ha parlato Veltroni. Secondo il quale è finito il tempo delle alleanze-contro. E dunque il tempo dell’Unione. Però si è guardato bene dall’indicare cosa verrà dopo.
Veltroni, parla ma non dice niente
A Padova Veltroni ha ribadito che le tasse sono indiscutibilmente troppo alte e che il rimedio è che tutti le paghino. Questa affermazione rafforza il suo scontro con il Governo che, per bocca di Padoa Schioppa, ha ribadito che non aumenteranno, ovvero che non diminuiranno.
Ma se Veltroni cerca di apparire diverso, come linea politica, da Prodi e Padoa Schioppa, non ha il coraggio di dire che questa maggioranza di centrosinistra non è adatta a sostenerlo come leader poiché la sua ala sinistra si arrocca su posizioni sempre più oltranziste, come dimostra la presa di posizione della Fiom che punta all’abrogazione della legge Biagi.
Decidendo per un referendum sul pacchetto Welfare per il 10 ottobre, i tre sindacati vogliono inoltre dimostrare il loro peso e la loro capacità di mobilitazione appena pochi giorni prima del voto delle primarie, il 14 ottobre, che dovrebbe consacrare Veltroni leader del Partito democratico.
La "veltronomics", di cui parla Repubblica, non ha basi politiche sufficienti per imporsi. Per questo Veltroni cerca di cavalcare anche l’antipolitica che adesso trova in Beppe Grillo il suo punto di aggregazione. Ma non è andato oltre la proposta di dimezzare il numero dei parlamentari, con in più la richiesta di maggiori poteri per il premier e del Senato federale.
Non si tratta di novità. La riduzione dei parlamentari era stata già decisa dal centrodestra, che nella scorsa legislatura aveva approvato la riforma costituzionale: riforma che la sinistra - Veltroni compreso - ha impedito che entrasse in vigore facendola bocciare dal referendum. Veltroni ha detto che non c’è bisogno di due Camere che facciano lo stesso lavoro. Il centrodestra aveva fatto la riforma distinguendo tra la Camera di rappresentanza politica e il Senato federale. E la sinistra, di cui fa parte Veltroni, ha impedito alla riforma di entrare in vigore.
La sinistra, la vecchia e la nuova che Veltroni vorrebbe interpretare, sta facendo perdere anni preziosi al nostro Paese, rubacchia idee al centrodestra, è priva, soprattutto, dell’onestà di ammettere i propri errori: questi sono titoli sufficienti perché non possa avanzare né la pretesa di continuare a guidare questo Paese né la pretesa di essere diversa da quello che è.
Dice bene Veltroni quando afferma che non si può governare con 12 partiti ciascuno dotato di potere di veto, ma non indica, in questa coalizione, quali partiti dovrebbero essere messi fuori. Perciò dà ragione - senza ammetterlo - al centrodestra che chiede di tornare alle urne al più presto. Ipotizza mani libere per il nuovo Partito democratico, ma i sondaggi lo inchiodano al 27%, e lui si rifiuta di dire con chi si alleerebbe dopo il voto.
In conclusione, Veltroni vuole la leadership di un partito al quale non dà una linea politica, ma vaghi propositi senza spiegare con chi potrebbe realizzarli. Del resto, appartiene a quella sinistra il cui solo obiettivo è stare al potere e spartirselo.