Per la prima volta nella storia dell’Italia repubblicana la commedia dei vertici si conclude, non con una apparente e transitoria riappacificazione, ma con una spaccatura ancora più netta di quella esistente alla vigilia del vertice stesso.
E’ l’ulteriore prova che la crisi di questo governo è conclamata e rischia di tramutarsi in una grave crisi delle istituzioni se si dovesse trascinare ancora per molto tempo senza che nessuno abbia la forza, il coraggio e la lungimiranza di prenderne atto.
Purtroppo il rischio che un governo moribondo resti in carica espandendo dei suoi miasmi l’intera società è incombente.
La sinistra dei Ds e la Margherita sono impegnati in un travagliato e contraddittorio processo di unificazione e non possono assumersi in questo momento la responsabilità di sciogliere le Camere, sapendo oltretutto che l’esito del voto sarebbe esiziale per il nuovo partito.
Prodi avrebbe tutto l’interesse di anticipare tutti e di uscire di scena a testa alta, prima che la sua figura sia totalmente delegittimata di fronte all’opinione pubblica, ma il suo carattere rancoroso e vendicativo lo porterà probabilmente a tenere duro fino alla fine e di far pagare ai suoi nemici un prezzo molto elevato.
E’ presumibile perciò che, in questo contesto, l’apertura della crisi sia determinata dalla sinistra estrema o dai gruppi di centro che hanno ripreso piena libertà di iniziativa politica.
Di fronte a questo continuo deteriorarsi della situazione, i vertici delle istituzioni non possono restare impassibili, pena uno scollamento e una crisi ancora più profonda nel rapporto fra i cittadini e lo Stato.
L’opposizione ha il dovere di serrare i ranghi in vista del momento in cui inevitabilmente avverrà il tracollo della maggioranza di governo.
Già ora ha la responsabilità di prepararsi a presentare unita un nuovo programma di governo capace di suscitare una rinnovata fiducia e la speranza di un cambiamento autentico che diradi le nubi minacciose dell’antipolitica.