IL REFERENDUM SUL WELFARE: UN VOTO SUL NULLA
di Lodovico Festa -
Fino a mercoledì lavoratori e pensionati voteranno sugli accordi presi con il governo da Cgil, Cisl e Uil su pensioni e stato sociale. È più un plebiscito che vero referendum. Una parte decisiva dei chiamati a votare (i già pensionati) o vota sì o rinuncia ai pochi ma certi euro - acclusi all'accordo - per i redditi mediobassi. Al contrario del 1995 questa è un'intesina che dà qualcosina. Sulle questioni fondamentali chi si oppone, si ritrova le leggi in vigore, pur contestate da chi vota no.
Una vera partecipazione democratica, all'interno di un modo di far sindacato assemblearista e movimentista che pur non condivido, è organizzare una consultazione anche «prima» degli accordi non solo dopo. Ma ciò non era possibile perché la Cgil riesce a contenere le sue contraddizioni solo se riesce a dominarle con la retorica da stato di emergenza, con l'emozione non con la riflessione. E così si va a votare, un po' per interesse, un po' per patriottismo di organizzazione, un po' per «evitare» un peggio che non si è potuto discutere.
Tutto sommato da questa consultazione verrà qualcosa di positivo: si metterà una pietra tombale su cinque anni di linea della Cgil contro la legge Biagi e riforma delle pensioni, due pilastri dell'azione del governo di centrodestra. Chi farà più lotte massimaliste, dopo che con ritocchi mediocri, solo in qualche caso migliorativi (ma con contraddizioni: per esempio, bene i nuovi ammortizzatori sociali ma male che siano pagati spremendo i ceti medi) «i mostri» contro cui si è scesi in piazza sono stati sostanzialmente approvati da milioni di lavoratori?
Comunque, oggi, affrontando le questioni economico-sociali con una concertazione sommata a consultazioni come quelle in corso non si riesce a modernizzare l'Italia. Con i sindacati si deve dialogare e sulle questioni di loro merito contrattare seriamente. Ma in un quadro di responsabilità nette: e non solo del governo, anche dei sindacati. L'idea del sindacato-movimento è nata nell'Ottocento quando operai e braccianti diedero vita «insieme» al partito socialista, alle mutue, alle camere del lavoro. Tra partito e sindacato c'era una forte integrazione perché così dettavano le condizioni aspre di allora. Poi arrivò l'egemonia comunista che pose al centro anche dell'impegno sindacale l'idea della coscienza di classe. Il sindacato-movimento (rispetto al sindacato-organizzazione della tradizione americana importata in Italia dalla Cisl), era la base per il formarsi della «coscienza rivoluzionaria», rifuggendo dal corporativismo. Spesso anche da idee sbagliate viene un po' di bene, e un certo spirito anticorporativo della Cgil è stato utile all'Italia in qualche momento difficile. Però questa lunga storia si è chiusa: oggi il sindacato-movimento contiene al suo interno così tante contraddizioni che può partorire solo piccolissimi topolini, mai un elefante. In questi mesi è, alla fine, prevalso il meno peggio perché la Cisl ha preso la guida contro l'altro «polo», quello Fiom-Rifondazione. Ma la base veramente riformista dei provvedimenti in discussione, è quella approvata dal centrodestra che ha sfidato i veti della Cgil. Poi sono venuti gli ammennicoli del centrosinistra. Su cui si vota oggi.