Parla di rigassificatori, l’ineffabile Pecoraro Scanio, e dice: ”D’ora in avanti, entro cinque mesi dalla presentazione, le richieste di nuovi impianti dovranno avere una risposta, positiva o negativa che sia”. Dalla platea, quella di un convegno dell’Udc a Verbania, “l’applauso però non arriva” (Corriere della Sera).
Forse perchè a parlare era, salvo errori o improbabili scambi di persona, lo stesso Pecoraro Scanio le cui posizioni oltranziste contro rigassificatori, centrali a carbone e nucleari, termovalorizzatori e quant’altro stanno costando al Paese, secondo un dossier Enel, la bellezza di 40 miliardi di euro (il 3% del Pil).
Forse perché è lo stesso Pecoraro Scanio che, definendo “illegittima” una decisione del governo Berlusconi, ha revocato la licenza per il rigassificatore di Brindisi. E forse perché è la stessa persona che blocca il rigassificatore di Porto Empedocle e altri otto impianti in giro per l’Italia. Uguali ai cinque che, nel giro di tre anni, la Spagna di Aznar e di Zapatero, totem della sinistra nostrana, ha costruito in soli tre anni, conquistando autonomia e leadership energetica.
D’altronde la distanza tra il dire (tanto) e il fare (poco) del “signor no” del governo Prodi si misura anche su altri fronti, come quello dei costi della politica. Il 14 maggio è entrato in vigore il decreto del Presidente della Repubblica dedicato al riordino degli organismi del Ministero dell’Ambiente. Che ha fatto il nostro? Ha ridotto i commissari incaricati della verifica di impatto ambientale (VIA) a 62 membri, poi ha creato una nuova commissione di 25 membri. Con il risultato che i commissari sono saliti, complessivamente, da 82 a 87. Naturalmente, tutti con nomina ministeriale, ad personam.
Con un ministro di tal fatta, non c’è da stupirsi se Confindustria, nel dare battaglia contro il decreto correttivo del Codice ambientale, se la prende anche con la regola del silenzio-diniego, che pure era presente anche nel codice varato dal precedente governo. In base a tale criterio, qualsiasi iniziativa imprenditoriale verrà considerata automaticamente bocciata se l’autorità in materia ambientale non darà una risposta. Creata per sollecitare la pubblica amministrazione a decidere rapidamente su ogni pratica, nelle mani sbagliate diventa un’arma impropria al servizio del “non fare”.
Basta che la commissione ministeriale non la prenda in esame, che non la metta all’ordine del giorno, che la collochi in coda alle scartoffie da smaltire: così, senza dare risposte né fornire motivazioni, senza neanche lo sforzo di incollare un francobollo per rispedirla al mittente, sarà cestinata d’ufficio. Confindustria ha fondati timori che il silenzio-diniego consentirà al ministro di moltiplicare la sua propensione al “diniego”: certo non al “silenzio”, trattandosi del più facondo esternatore della Repubblica italiana. I cui “tempi certi” sono soltanto quelli del no.
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