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 DI PIETRO CHE TESORO Data: 24/10/2007
Appertiene alla sezione: [ Politica ]
LAURA MARAGNANI DA PANORAMA N. 43/2007
Riprendiamo da Panorama e pubblichiamo un interessante reportage su Di Pietro: interessante perchè scopre le carte di un vero e proprio furbacchione che ha saputo trasformare la politica in un bell'affare di famiglia. Leggere per credere. E Panorama non è stato nè smentito nè querelato. E di seguito all'articolo di Laura MARAGNANI, pubblichiamo sempre su Di PIETRO un articolo di Pietrangelo Buttafuoco dal significativo titolo "FENOMENOLGIA DEL FURBACCHIONE". Leggeteli entrambi e scoprirete cosa è la Seconda Repubblica secondo Di Pietro.

POLITICA & AFFARi Basta con i partiti dai bilanci oscuri, tuona l’ex pm di Mani pulite. Ma quando si tratta della sua Italia dei valori cambia musica: decide tutto lui, con l’ex moglie e un’amica di famiglia. Grazie a statuti creati ad hoc. E quanto a certi appartamenti...


«Ipartiti non sono delle bocciofile»: così parlò Gianfranco Fini, il 3 ottobre, presentando la meritoria proposta di legge per «la riduzione dei costi della politica e la promozione della trasparenza». Basta coi bilanci oscuri dei partiti, con le gestioni poco democratiche, con la totale assenza di responsabilità civile e penale: «C’è una caduta verticale nella credibilità delle istituzioni. Vediamo chi sottoscrive questo documento, chi ci sta e chi no, chi ci fa e chi ci marcia» rincarò, al fianco di Fini, il ministro Antonio Di Pietro, coautore della proposta e leader dell’Italia dei valori.

La stessa Italia dei valori di cui il 21 settembre è stata chiesta la messa in liquidazione al tribunale civile di Milano? E che è stata segnalata al Consiglio d’Europa (ultimo atto della guerra giudiziaria tra Di Pietro e il Cantiere di Achille Occhetto) perché ad approvarne i bilanci, per milioni di euro di fondi pubblici, è di fatto un’unica persona? Perbacco: proprio lo stesso partito di cui Di Pietro è presidente, fondatore e proprietario del simbolo.

Un partito che ha incassato oltre 22 milioni di euro dallo Stato, ma di cui il ministro è il solo ad avere le chiavi della cassaforte. Insieme a due donne: Susanna Mazzoleni, la sua ex moglie, e Silvana Mura, «amica di famiglia» (parole sue) da tempi immemorabili.

Da dove cominciare a raccontare questa bizzarra storia? Le carte sparse fra i vari tribunali (Brescia, Milano, Roma, Bruxelles) sono una montagna. Ma c’è una data ben chiara, il 26 settembre 2000. E un luogo, via delle Province 37, Roma. È qui, davanti al notaio Bruno Cesarini, che nasce la «libera associazione Italia dei valori-Lista Di Pietro, in breve Idv» con sede a Busto Arsizio in via Milano 14.

L’oggetto sociale vola alto: «La valorizzazione, la diffusione e la piena affermazione della cultura della legalità, la difesa dello stato di diritto, la realizzazione di una prassi di trasparenza politica e amministrativa».

A firmare l’atto sono solo in tre. Antonio Di Pietro, che porta in dote il simbolo registrato a Genova come «marchio di impresa personale». Il suo amico Mario Di Domenico, un avvocato abruzzese residente a Roma. E Silvana Mura, ex commerciante di biancheria a Chiari (Bs), l’amica di famiglia. Tre amici che, all’unanimità, nominano Di Pietro presidente. Mura diventa tesoriera, Di Domenico segretario. E partono.

Già nel 2001 l’Italia dei valori conquista un senatore (Valerio Carrara, subito passato a Forza Italia) e dunque accede ai generosi rimborsi previsti dalla legge: oltre mezzo miliardo di lire come anticipazione, più 822 milioni a rate nei quattro anni seguenti. Nel 2002 all’Idv vengono attribuiti altri 2 milioni di euro come «integrazione».

Tutto bene? No, perché il segretario Di Domenico viene denunciato per appropriazione indebita. Verrà definitivamente assolto nel 2007 perché «il fatto non sussiste», ma al momento la sua è una presenza ingombrante. E dunque nuovo appuntamento dal notaio.

Stavolta è Romolo Rummo, via Piemonte 117, Roma. Scusate la pedanteria: alle ore 13.30 del 5 novembre 2003 Antonio Di Pietro «prende la parola» e un attimo dopo le dimissioni di Di Domenico sono agli atti. Già che ci sono, si dimette anche Silvana Mura. Ma prima di andarsene, all’unanimità, i tre approvano il trasferimento della sede sociale da Busto Arsizio a Milano. Alle ore 13.35 l’assemblea viene tolta.

Cinque minuti e l’Idv, da associazione a tre soci, diventa di fatto un paradossale partito «a socio unico». Cinque minuti fondamentali. E per capirlo basta ficcare il naso nella nuova sede del partito: via Felice Casati 1/A, a Milano. Nove vani di proprietà della Iniziative immobiliari srl di Gavirate, gruppo Pirelli Re, che poco dopo vengono comprati da un’altra srl, la An.To.Cri. di Bergamo. An come Anna, To come Toto, Cri come Cristiano, i tre figli di Di Pietro.

Un caso? Vediamo. Socio unico della srl: Antonio Di Pietro. Amministratore unico: Antonio Di Pietro. Il capitale sociale è esiguo, 50 mila euro appena; eppure, nel giro di due anni la piccola società riesce a mettere le mani su due grandi appartamenti a Milano e a Roma (ceduto, quest’ultimo, poche settimane fa). Valore dichiarato degli immobili: 1 milione 788 mila euro. E da dove vengono i soldi? Anno 2003: il socio unico Di Pietro versa alla An.To.Cri., ossia a se stesso, 100 mila euro come «prestito infruttifero»; 2004: altri 300 mila euro; 2005: 783 mila euro. Un totale di 1 milione 183 mila euro, contanti, in tre anni.

Poi il socio unico della An.To.Cri., sempre Di Pietro, affitta all’associazione Italia dei valori, di cui Di Pietro è unico socio, l’appartamento di via Casati. Un conflitto di interessi, o no? E l’anno dopo raddoppia: la An.To.Cri. acquista 10 vani in via Principe Eugenio 31, a Roma, e subito l’Idv decide di trasferirci «la sede nazionale di rappresentanza politica»: lo annuncia il tesoriere nel 2005. E chi è? Silvana Mura.

Vogliamo dare un’occhiata più da vicino a questa bella signora 49enne, ora deputata dell’Italia dei valori? Il 20 aprile 2004 entra anche lei nel consiglio d’amministrazione della An.To.Cri., insieme a Di Pietro e un certo Belotti. Claudio Belotti, ex convivente di Mura? Proprio lui. I due non stanno più insieme da tempo, ma hanno un figlio; e i rapporti tra loro sono così buoni che nel 2006, dopo le elezioni, Tonino e Silvana lasceranno proprio Belotti a fare da amministratore unico.

Ora, Belotti non risulta avere incarichi nel partito. Ma Mura… Ricordate che il 5 novembre 2003 si era dimessa? Bene, il 20 dicembre 2003 Di Pietro ritorna dal notaio (a Bergamo, stavolta) e nomina l’ex socia «tesoriere nazionale del partito con effetto immediato».

In base allo statuto dell’Idv il presidente può fare questo e altro: a lui solo, e «fino a sua rinuncia», spettano la titolarità del simbolo e la modifica dello statuto; l’approvazione del «rendiconto»; la definizione delle candidature, la presentazione delle liste, la nomina del tesoriere, l’assegnazione «di incarichi retribuiti», la ripartizione e l’utilizzo dei finanziamenti. Tutto, in una parola.

E sempre a lui, al presidentissimo, spetta il diritto di accettare i nuovi soci dell’Idv. Soci, attenzione. Perché di Italia dei valori, grazie allo statuto blindato da una girandola di notai (cinque modifiche in tre anni, con cinque notai diversi), ce ne sono ormai due: quella pubblica, il partito, a cui chiunque può aderire a livello «politico», anche via internet; e quella, parallela, che percepisce e gestisce i giganteschi fondi pubblici: l’associazione di cui si diventa soci solo per accettazione del presidente davanti a un notaio. Manco fosse una società per azioni.

Quali e quanti soci sono entrati in tutti questi anni? Dentro, nel 2000: Di Pietro, Di Domenico, Mura. Fuori, nel 2003: Mura e Di Domenico. Unico socio rimasto: Di Pietro. E da solo il presidentissimo fa e disfa per un bel pezzo. Approva il bilancio. Tratta col gruppo di Occhetto e Giulietto Chiesa per una lista comune alle europee; sempre da solo, unico proprietario del marchio, deposita la lista Di Pietro-Occhetto e si assicura i rimborsi elettorali; poi si autoattribuisce un rimborso da 423 mila euro.

È ormai il 26 luglio 2004 quando il notaio Peppino Noseri di Bergamo registra, finalmente, l’ingresso di due nuovi soci. Li conosciamo già: l’avvocato Susanna Mazzoleni da Curno, nessuna attività politica conosciuta, ma madre di Anna e Toto Di Pietro (si è burrascosamente separata dal ministro nel 2002, ora i due vanno d’accordissimo nell’Idv), e l’immancabile Silvana Mura.

Ricapitoliamo? Via Casati 1/A è il cuore di tutto il sodalizio: c’è la sede legale del partito (Di Pietro-Mura-Mazzoleni); la sede in cui si approvano i bilanci della An.To.Cri (Di Pietro-Mura-Belotti); la sede di una piccola società oggi in liquidazione, Progetto Orizzonti (Mura-Belotti). Lui, lei, l’ex moglie di lui e l’ex convivente di lei. Tutti insieme, appassionatamente, in un intreccio politico-affaristico unico.

E dove i soldi sono tanti: solo nel 2006, grazie alle politiche (20 deputati e 5 senatori eletti), all’Idv vengono attribuiti 10 milioni 726 mila euro di rimborsi. Aggiungiamo il bendiddio già assegnato negli anni precedenti: fanno quasi 22 milioni e mezzo.

Ma chi mai, al partito, ha visto o discusso i bilanci? «Non appena qualcuno cominciava a chieder conto dei soldi veniva messo alla porta» afferma Adriano Ciccioni, ex consigliere comunale a Milano. L’articolo 10 dello statuto infatti parla chiaro: l’approvazione dei bilanci spetta solo al presidente, Antonio Di Pietro, e quindi ai soci, ossia l’ex moglie e l’amica di famiglia. Eppure...

Verbale della riunione del 31 marzo 2005 nella solita sede di via Casati: alle ore 17 Di Pietro è il solo a «esaminare ed eventualmente approvare» il bilancio 2004. Non sono noccioline. Proventi: 5 milioni 589 mila euro. Oneri: 3 milioni 420 mila. Oneri straordinari: 364 mila 936. Avanzo di gestione: 1 milione 821 mila 415 euro.

Soldi pubblici. Soldi nostri. Soldi erogati dall’ufficio di presidenza della Camera (della cui segreteria fa parte Silvana Mura, la responsabile dei bilanci Idv) senza un sistematico controllo sul come, a che scopo e da chi verranno spesi.

La Corte dei conti ormai da anni protesta contro una legislazione piena di falle, che lascia ai partiti troppo margine di manovra. Ma i partiti, come hanno ricordato a tutti Fini e Di Pietro quel 3 ottobre, oggi non hanno personalità giuridica. Incassano e spendono come vogliono. E allora?

Allora il presidente dell’Italia dei valori, «in forza dei poteri che lo statuto gli conferisce, approva il rendiconto». La riunione è sciolta alle 19.30. E nel verbale non compare l’ombra di alcun socio: né l’amica, né l’ex moglie.




FENOMENOLOGIA DEL FURBACCHIONE
DI PIETRANGELO BUTTAFUOCO

ritratti Di destra (ex poliziotto) e di sinistra (idolo dei Vaffa boys), Di Pietro indossa la cravatta del piacione, ma lo spirito è del giustiziere. E così, tenendo alta la bandiera della moralizzazione, è l’unico ministro a crescere nei sondaggi.



Non ha mai messo piede in una discoteca Antonio Di Pietro, e già questo lo rende simpatico. È un italiano da romanzo, lui. Parla il tedesco degli emigrati di Pane e cioccolata, è un internauta, è una star di Youtube, il sito web da dove relaziona riguardo alle riunioni del governo, ed è molto amato dalle donne.

Ed è amato anche dagli antipolitici di sinistra, Di Pietro. Non è riuscito a far funzionare l’autostrada Salerno-Reggio Calabria, né la 106 (la Strada statale ionica che parte da Taranto), ma è l’unico ministro del governo Prodi a cavarsela nei sondaggi.

Uomo di carattere, il ministro delle Infrastrutture è furbo, furbacchione secondo accurata fenomenologia. Sarebbe stato un perfetto uomo di legge e ordine a destra e invece se ne sta a sinistra. Non è un acculturato salottiero, uno di quelli che lui disdegna vedendoli asserragliati fra i piani nobili della sinistra, e piace tanto anche agli antipolitici di destra: è ruvido, orbo di carinerie, ed è muscolare per l’appunto, ma anche uno strepitoso incrocio di due innesti arcitaliani, qualcosa tipo Cola di Rienzo e Alberto Sordi.

Un giorno capopopolo, un giorno furbacchione. Ogni giorno tutte e due le sue nature: si rade ma il pelo gli sbuca subito dalle gote, duro. Indossa la cravatta del piacione ma gli ribolle l’aplomb del giustiziere. Magari è anche pericoloso, perché è un marcantonio della sostanza, lui, e sono sempre guai ad andargli contro. Mal gliene incolse, infatti, ad Alfonso Pecoraro Scanio in pieno Consiglio dei ministri: litigandoci, si vide laureato col marchio... insomma, con un marchio.

Antonio Di Pietro da Montenero è la più compiuta maschera dell’Italia. Non è un caso che sia finito pastorello nel presepio. La sua faccia è così innervata negli umori sbrigativi dell’integerrimo che subito è diventata parte del paesaggio nazionale. Nel risultato di cui godiamo le gesta troviamo la sceneggiatura di tutto un registro d’emozioni: guardingo e gigione al contempo, narciso e bisognoso di affetto, tenero e ruspante, Di Pietro è di destra e di sinistra contemporaneamente.

«Tecnico» dice di sé. Sul caso Unipol ha, infatti, menato come un fabbro, e l’incudine era la faccia di Massimo D’Alema, anche a dispetto delle accuse d’ingratitudine, quelle di Nicola Latorre: «E pensare che per superare il netto rifiuto dei compagni l’abbiamo candidato al Mugello».

Di sinistra e di destra, Di Pietro di lotta e di governo, oggi alleato di Gianfranco Fini, non ha mai negato la sua bilocazione ideale: «La mia pregiudiziale è politica e ha un nome e cognome: si chiama Silvio Berlusconi».

Di destra e di sinistra, Di Pietro mantiene l’alleanza con Fini. Il loro patto è un detonatore ad alto grado tenuto fermo sullo scacchiere politico nel frattempo che Di Pietro, tiratosi fuori dai disastri del governo di cui è esponente di primo piano, giorno dopo giorno aggiusta la propria posizione.

Quando, sull’onda delle polemiche sulla cacciata del generale Roberto Speciale, Tommaso Padoa-Schioppa tentò di salvare le deleghe a Vincenzo Visco, fu Di Pietro a convincere il collega ministro dal desistere nella difesa di Visco perché «una cosa è sentire le registrazioni, una cosa è leggere le carte». Forte del suo fiuto da poliziotto il leader dell’Idv capì che la polemica non si sarebbe fermata alla semplice lettura dei brogliacci delle intercettazioni, ma a ben più rivelatori toni e modi del parlato.

Ecco, non ha mai messo piede in una discoteca Di Pietro, ma sa bene di quale legno è fatta la scopa della giustizia.

La giornata di Di Pietro è la giornata di un furbo infallibile. Se ne sta chino sui fogli dove riversa il suo eterno mattinale, sempre pronto allo scatto da predatore diffidente. Un moto d’irruenza, questo, sottolineato da un preciso segnale: butta gli occhiali da lettura sul tavolo mentre sul naso e sulla fronte gli s’ammonticchiano le vene più fumine. Dopo di che il sorriso, la serenità del giusto. E la conferma della sua capacità di fiuto.

Il Di Pietro di lotta e di governo, il Di Pietro di destra e di sinistra (indigesto al centro), è un Mastro don Gesualdo che ha fatto della politica la sua guerra dei vinti. Terrorizzato e affascinato al contempo, della politica Di Pietro ha fatto il luogo dove vorrebbe mettere sé senza che trovi però la realizzazione. Come Forza Italia, la sua Italia dei valori, pur con fior di collaboratori e dirigenti, è l’unico partito che non celebra congressi. Solo qualche furba assemblea, nulla però che rimandi alla delega, alla condivisione e alla partecipazione.

Tutto come da sceneggiatura si dirà, perché la politica è anche il luogo del suo contrappasso. Già bandiera della moralizzazione, il Di Pietro di destra e di sinistra col suo partito portatile è un simpatico furbacchione che sa far di conto: il poco gli basta, l’assai gli è di troppo.

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