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 SII UOMO, ROMANO, LETTERA A PRODI Data: 28/10/2007
Appertiene alla sezione: [ Il commento del giorno ]
Caro Romano,
l’ora di salutarci è giunta. Lo so che tu non vuoi schiodarti dalla sedia di presidente del Consiglio, ma so anche che sei cosciente, meglio di tutti noi, che il tuo tempo è finito. Che è davvero giunto l’attimo di toglierti dalle scatole. Perché peggio di così, davvero, non può andare e quindi ti conviene ritirarti senza ancor aver toccato il fondo.
Caro Romano, tu sei come quel mediocre giocatore che ha la fortuna di piacere ad un numero sostenuto di tifosi e che non vuole mai tirarsi fuori dal gioco, finché un bel giorno, lento e stanco, viene fischiato anche da quelli che lo avevano difeso a spada tratta fino all’ultimo. Ecco Romano, tu sei come uno dei tanti passati per l’Inter e acclamati all’inizio come salvatori della patria, ma poi spediti con posta prioritaria nel dimenticatoio.
Non puoi farci niente, Romano, la tua mediocrità è stata la causa della tua fine. Sei un professore ordinario, senza una qualità che ti contraddistingua dai tempi in cui, come un travet, conducevi l’IRI di mamma Dc. Hai l’aria bonaria, ma sotto sei scorbutico e velenoso. Dei due l’uno: o ti lasci coccolare dalla concertazione o mostri gli attributi. Siccome propendi per la prima e l’Italia in questo momento ha bisogno di tutto, tranne che dell’ennesima concertazione, per favore, fai un favore a te stesso, a tua moglie Flavia e a tutti noi: tornatene a casa. Goditi la pensione, tuffati tra i beni che un giorno passerai ai tuoi figli avendo approfittato di una legge che tanti detestavi, ma che tanto hai usato a tuo tornaconto.
Tu sei fatto così, Romano. Disprezzi, ma compri. E finisci con il sentirti in colpa, senti di aver commesso un peccato da confessare nel buio del confessionale al prete. Sei ancora in tempo per tornare a vivere come piace a te. Presentandoti gonfio di orgoglio sul sagrato della chiesa dopo la messa della domenica mattina, con il giornale sotto il braccio ed indossando una bella giacca che fa tanto anni sessanta. Ritrovando i vecchi amici di oratorio e dei gruppi di preghiera, per enfatizzare la dottrina sociale della Chiesa e puntare l’indice contro i cattivi proprietari che si dimenticano dei poveri cristi che si spezzano la schiena.
Sei un provinciale, Romano. E non te ne devi vergognare. Guarda, te lo confesso: anche il sottoscritto è un bel provincialotto che aspetta soltanto di tirarsela in mezzo ai compaesani. Vieni a farmi compagnia, Romano. Qui è pieno di gente come te che attende soltanto di eleggerti a prossimo profeta.
Caro Romano, io a te ci tengo. Ma soprattutto ci tengo all’Italia. Spero di farci crescere i miei figli un giorno, ma se continuiamo di questo passo, posso sempre trasferirmi in Argentina. Sarebbe lo stesso, solo che laggiù c’è tanta di quella terra per stare da soli che l’idea mi attira molto. Dai, Romano, per una volta alza la voce e non sbuffare, non nasconderti dietro al sorrisino da sagrestano che ti porti appresso: sii uomo, per l’amor del Cielo!
Diventeresti il politico più popolare del paese. Ancor più di Berlusconi, garantisco io per te. Certo, poi ti dimenticheremmo tutti, anche quelli che ti hanno sostenuto fino alla fine. Ma, da vecchi e con i nipotini sulle ginocchia di fronte al camino acceso, potremmo raccontare la storia dell’uomo che si credette presidente del Consiglio e finì per essere marionetta.
Forza Romano, facci sognare.
Con affetto e stima, un tuo fedele consigliere.

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